I pompieri di Viggiù, il teatro di allora al cinema

I pompieri di Viggiù recensione film

“Dì la verità: è uno spettacolone”

Titolo originale: I pompieri di Viggiù
Regista: Mario Mattòli
Sceneggiatura: Marcello Marchesi, Steno
Cast Principale: Carlo Campanini, Ave Ninchi, Silvana Pampanini, Totò, Nino Taranto, Wanda Osiris, Carlo Dapporto, Laura Gore, Dolores Palumbo, Ernesto Almirante
Nazione: Italia

Ci sono dei film che, involotariamente, diventano più che pellicole narrative, dei documenti visivi di qualcosa che in realtà stanno rappresentando. Un esempio di questo è I pompieri di Viggiù, di Mario Mattòli del 1949.

Nel piccolo paese di Viggiù, vive un piccolo gruppo privato di pompieri, infastidito dalla celebre canzone di quei giorni: creduta talmente canzonatoria al punto di non farsi chiamare “pompieri” ma “vigili”. Negli ultimi giorni, la gente, specie i bambini, va più di frequente a prenderli in giro: come mai? Scoprono così che, in un teatro di Milano, uno spettacolo di rivista ha una scena con l’odiata canzone. Decidono quindi di recarsi a teatro, dove assitono dietro le quinte a tutto lo spettacolo. Nel frattempo, il comadante (Campanini) scopre che nel cast c’è anche sua figlia Fiamma (Pampanini) scappata da mesi da un collegio. Riuscirà a convincere il padre e la gelosa madre (Ninchi) che la strada del teatro non è così assurda?

Film dalla trama inutile, se non inesistente, I pompieri di Viggiù in realtà è un vero e proprio documentario del mondo teatrale di allora.

Tutto è creato per reggere la scusa di andare con le telecamere e riprendere dei pezzi che, se non ci fosse il film, sarebbero solo rimasti nelle cronache dell’epoca. Il mondo del teatro di rivista, quella cara al mondo del dopoguerra che sentiva il bisogno di rialzarsi dopo le sciagure passate, è qui più rappresentato che mai.

Partiamo banalmente dai due spettatori, marito e moglie (Almirante e Palumbo). Lei impellicciata, pronta per una serata a teatro (lusso per l’epoca), che saluta gente intorno a lei, ridendo sguaiatamente alle scene comiche; lui, carico di binocoli, pronto a vedere solo le gambe delle ragazze che ballano. Ne seguono le ballerine, veramente sulla scena, tipiche dei tempi: arrangiate, che andavano ognuna per conto loro seguendo solo dei passi imposti, ma sorridenti e spesso ammiccanti.

La grande chicca è però la ricerca e il montaggio di Mattòli nell’unire vari sketch, ballati cantati e recitati, all’epoca veramente sulla scena in tutta Italia, facendola passare come un unico spettacolo.

Pensiamo a Carlo Dapporto e Laura Gore. Gli sketch di Petronio, Monsieur Verdoux, Maurice Chevalier, così come un’inedita Perché non sognar (interpretata dalla Gore, ma con la voce di Jole Cacciagli) già nota ai più per essere stata cantata da Nilla Pizzi, sono tratte dalla rivista Buon appettito del ’48. Si passa a Wanda Osiris che a Roma, nella rivista di Garinei e Giovannini Grand hotel, canta due pilastri della sua carriera nella sua sfarzosissima maniera, quali Canto campestre e la celebre Sentimental, scendendo una delle sue leggendarie scale. La stessa Pampanini è protagonista, insieme a Nino Taranto, di due sketch de Nuvole, quali Topi d’albergo e Censura e bikini.

Ultima chicca viene da Torino con C’era una volta il mondo del ’47.

Qui vengono tratte diverse scene, a partire dai balli allusivi al mondo americano. Curioso sentire le canzoni di Messico e Bahia, in italiano sulla scena; ben sapendo che in quegli anni sono anche sullo schermo cinematografico del classico Disney I tre caballeros. La scena però proprio della danza di Bahia ci mostra, dallo spettacolo sopracitato, la coreografia con Harry Feist, che qualche anno prima l’Italia aveva odiato in Roma città aperta di Rossellini, ignorandone le primarie doti di ballerino. Il grande protagonista è però Totò, dove interpreta il celebre sketch del manichino vivente, insieme a due celebri sue spalle quali Mario Castellani e Isa Barzizza.

Da qui infine viene tratto il vero momento magico che il film ha intrappolato e riproposto alle nuove e curiose generazioni, cioè il finale: non il finale del film, ma il finale di uno spettacolo di varietà.

Qui Totò, con tutto il cast della sua rivista, dirige un coro e, in maniera comica ma perfettamente sincrona, anche l’orchestra sottostante, a cui succederanno i cosiddetti “fuochi d’artificio”, dove muovendo le mani imiterà lo scoppio di alcuni giochi pirotecnici. Dopodiché, il Principe della Risata prende la bacchetta dalle mani del direttore e inizia a muoversi, come anteponendo una marcia funebre, portando dietro sé tutto il cast per la celebre passerella, cioè quando tutti gli artisti passavano davanti al pubblico per gli applausi; per passare poi ad una corsa con la marcia dei bersaglieri, sempre da lui capitanata e da tutti seguito, uomini e donne.

3 motivi per vedere il film

  • Dapporto nella sua visione teatrale, ancora più esagerato ed eclettico che al cinema
  • Constatare il capovolgimento del passaggio dal vedere un film al vedere uno spettacolo
  • Curiosare e studiare il mondo teatrale di allora, anche dietro le quinte con cambi scena carichi e rapidi

Quando vedere il film

La pellicola è leggera, non necessita particolari attenzioni per la trama. Tarda domenica mattina, magari prima di pranzo, per poi discuterne a tavola.

Francesco Fario

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Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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