Jim Dine: Il Neo-Dada arriva all’Accademia di San Luca con House of Words

Accademia di San Luca, Jim Dine, Roma

House of Words: The muse and Seven Black Paintings dal 27 Ottobre al 3 Febbraio 2018

Siamo a Roma. In uno dei quartieri più belli della città. Ci troviamo esattamente dietro Piazza di Spagna in una piazzetta che ci accoglie con un grande palazzo antico.

Palazzo Carpegna è il suo nome. Palazzo che ospita l’Accademia di San Luca, edificio segnato dall’impronta del Borromini. L’Accademia, ormai un’istituzione a Roma, è un’associazione di artisti fondata più di cinquecento anni fa, oggi sede delle mostra di Jim Dine.

Artsita dalle mille sfaccettature, Din già famoso a New York negli anni sessanta, viene eletto accademico di San Luca.

E’ uno degli artisti più significativi dei nostri tempi in quanto appartenente alla corrente Neo-Dada. Corrente che ha ispirato Happening e Pop Art.

Ma chi è Jim Dine?

Dine è un artista statunitense che ha contribuito alla nascita della Pop Art americana e ha recepito l’influenza dadaista. Pittore, performer, poeta e incisore ha il potere di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Il suo metodo piuttosto artigianale o come diremmo a Roma “casareccio” gli permette di comunicare le sue sensazioni senza filtri e sovrastrutture.

Per capire meglio questo artista complesso dobbiamo entrare nell’Accademia di San Luca. Dal caos dei clacson e delle voci dei passanti, spesso turisti, entriamo in una dimensione quasi onirica. Il silenzio che ci accompagna nella nostra visita fa da controaltare alla voce delle pareti.

Sì perchè le pareti della prima stanza sono totalmente scritte. Pareti scritte, chiederete voi. Sì, è proprio così.

Perchè Dine non è solo un artista ma anche un poeta.

Le pareti diventano il supporto della sua poesia. Parole, scritte, cancellate, riscritte, sottolineate, come se fossero stati messi in bozza i suoi pensieri.

Il muro è pieno di frammenti biografici che Jim vuole raccontare al pubblico. E come facciamo a capire che le parole sono sue, che sono autobiografiche?

Perchè in questo contesto Dine inserisce un autoristratto gigante. Una testa, una scultura bianca, che evoca immagini antiche di dittatori ed imperatori. Un autoritratto monumentale che fa dell’artista una scultura.

Accademia di San Luca,Jim Dine, Roma
Accademia di San Luca,Jim Dine, Roma

La testa parla, non ascolta, e cosa dice?

Bè, basta leggere le parole sul muro.

La parola quindi non è importante solo come comunicazione ma anche come grafia, come se fosse un disegno; viene espressa a pieno attraverso l’uso del carboncino.

Il rapporto con la scultura è parte del suo retaggio. Da piccolo andava a vedere le collezioni antiche conservate presso il Cincinnati Art Museum.

Ispiratosi ad una scultura trovata a Getty che raffigura Orfeo con le sue muse, Dine torna a casa e con questa idea in testa scolpisce le statue che fanno da contorno alla testa. Sono donne danzanti, più alte della testa, che si rifanno alle statue di argilla del III secolo a.c.

Il materiale usato dall’artsita è il legno della quercia rossa, un albero tipico degli Stati Uniti d’America. Quando lo scolpisce il legno non era stagionato quindi l’opera mantiene delle spaccature che donano un tono, un accento alla scultura.

L’antico mito greco trova un luogo, incontra la quercia americana.

La terza statua, facente parte del ciclo delle muse, è ancora più fedele al prototipo tanagrino; non si lascia coinvolgere dal ritmo danzante delle altre pur facendo parte della coreografia. Accenna un movimento, un sorriso.

Accademia di San Luca, JimDine, Roma
Accademia di San Luca, JimDine, Roma

Sulla testa delle ballerine vi è una sorta di lira simbolo di musa.

Jim Dine si erge ad Omero insieme alle sue muse.

Nelle stanze adiacenti la dimensione cambia: non più scultura ma quadri.

Sette sono le tele che riempiono le pareti dell’Accademia di San Luca e che per la prima volta vengono esposte al pubblico. Questi quadri sono stati preceduti da altri e seguiti da altri ancora ma per l’artista hanno un’importanza diversa. Cambiano i colori che diventano squillanti e si mischiano al nero, un nero usato come metafora del suo inconscio e non solo.

Din osserva l’eccesso di inchiostro che poi viene tirato via dagli incisori e si accumula da una parte. L’effetto che noi vediamo sulla tela infatti è proprio questo, un nero che sembra quasi in rilievo.

Il tutto diventa alchemia.

Grumi di sabbia, colatura di tinte e macchie di colore investono la tela in “Black Paintings”, in un apparente caos. Perchè apparente? Perchè l’artsita statunitense non fa nulla a caso, tutto ha uno studio, un preciso quisquid.

Un approccio alla vita complesso, poetico e analitico che viene messo in mostra facendo interagire l’oggetto, l’artista e lo spettatore.

In questa relazione tra iconografia, spazio e colore Din esce dalla superficie con l’idea di incontrare il mondo, di ri-raccontarlo.

E se proviamo a chiedergli di spiegarci la sua opera lui ci risponde: ” Grazie della domanda e grazie che siete venuti. Guardate il lavoro! Io non ho molto da dire, perchè il resto è segreto….”

Alessandra Forastieri

Alessandra Forastieri
Storica dell'arte e curatrice artistica, amante soprattutto dell'arte contemporanea. Curiosa e appassionata di letteratura classica, danza, teatro e musica.

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