Tra sogno e naufragio, ecco perché “La tempesta” ci parla ancora oggi

La tempesta shakespeare - teatro vascello

“La tempesta”, ultima commedia di William Shakespeare, è in scena fino al 19 gennaio al Teatro Vascello di Roma, con il Prospero di Renato Carpentieri.

L’adattamento de “La tempesta” ,che ha debuttato a Roma il 10 gennaio scorso, è firmato da due nomi d’eccezione. Da un lato, Nadia Fusini, anche traduttrice del testo, è una grande studiosa della letteratura inglese e a quest’opera di William Shakespeare ha oltretutto dedicato un saggio. Dall’altro, Roberto Andò, che è anche regista di questa versione, è noto per la capacità di spaziare tra il teatro e il cinema.

Prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, lo spettacolo offre una versione molto fedele alla trama originale. Valorizza la commedia più visionaria di William Shakespeare e il suo essere sospesa tra magia, sogno, follia e malinconia.

Già visivamente, grazie alle scenografie di Gianni Carluccio, il palcoscenico ci porta nell’atmosfera quasi fiabesca dell’isola dove vivono, dopo il naufragio di anni prima, Prospero (Renato Carpentieri) e la figlia Miranda (Giulia Andò). È appena finita una tempesta e lo scopriamo all’apertura del sipario, da cui cade la pioggia. Si è subito affascinati da questo effetto scenico, che lascia il pavimento del palco bagnato. Gli attori camminano con l’acqua fino al collo del piedi.

Nelle note di regia, Roberto Andò ci avverte che l’isola è infatti diventata un “casa disastrata, allegata dalla pioggia e dal mare, di cui Prospero ha fatto il laboratorio di una speciale esplorazione dell’anima, un interno-esterno circondato da un mare all’inizio in tempesta, poi calmo”.

Poi ci sono tanti libri appesi con un filo al soffitto o adagiati in gruppo sul palcoscenico bagnato, libri centrali nella storia, per il suo prologo.

Prospero, infatti, proprio per seguire i suoi studi aveva trascurato di amministrare il suo Ducato di Milano. Era stato il fratello ad occuparsi del Ducato, fino a costringere Prospero e sua figlia Miranda alla fuga, salpando con un vascello che, a seguito di una tempesta, era naufragato su un’isola, quasi deserta.

Qui Prospero ha vissuto per anni con Miranda e pochi servitori trovati lì ed è diventato un mago, uno stregone.

La tempesta del titolo, però, è quella che ha procurato Prospero, per far naufragare sull’isola la nave dove suo fratello e altri che lo avevano tradito stavano viaggiando. Lo scopo è vendicarsi e spingere i traditori al pentimento. Ma il naufragio, stavolta, porterà l’amore a Miranda e il perdono e la pace a tutti.

La tempesta”, per fortuna, negli ultimi anni è stata riscoperta dal teatro italiano ed è sempre più rappresentata.

Daniele Salvo e Ugo Pagliai tornano a scuotere il Globe Theatre di Roma con “La Tempesta”

 

È l’addio alle scene di William Shakespeare. In questa rappresentazione sembra ancora più chiaro come Prospero rappresenti il suo alter ego.

Un uomo anziano, esperto e colto fa i conti con la vita, prima di congedarsene, per iniziare sua figlia al mistero dell’esistenza. Ma deve affrontare anche i sentimenti negativi, come il rancore e il desiderio di vendetta o il senso di colpa degli altri, e prepararsi al perdono.

La tempesta”, secondo il regista, è una delle commedie più profonde che siano state dedicate al senso della vita.

Non posso che condividere il pensiero di Andò: “è l’opera della rigenerazione, dove il naufrago, il disperso, l’usurpato ritrovano il filo interrotto delle loro esistenze. Se c’è una ragione per cui ancora oggi questa commedia ci parla, è nell’idea, per nulla semplice o banale, che l’essere umano sia destinato a convivere con la tempesta, e che dopo ogni tempesta debba fare chiarezza dentro di sé”.

Queste riflessioni si ritrovano nella drammaturgia e nella messinscena di questa versione, veicolata da un ottimo cast. Al centro, c’è la figura preponderante, quanto discreta di Renato Carpentieri, che ha le physique du röle e il portamento che meglio si addice a Prospero.
Ma anche gli altri attori e le loro caratterizzazioni si accordano perfettamente allo spirito di questo adattamento.

Ariel stavolta è caratterizzato come un maggiordomo, interpretato dall’ottimo Filippo Luna, che gareggia in bravura con Vincenzo Pirotta, nel ruolo del matto Calibano. Lui è, invece, stato caratterizzato come il tipico fool shakespeariano, svegliato mentre dorme su un letto da ospedale psichiatrico e con una specie di camicia di forza addosso.

Stefano e Trinculo (Paride Benassai, che interpreta anche Antonio), insieme a Calibano, assicurano il divertimento, grazie non solo all’ottima interpretazione degli interpreti, ma anche all’uso sapiente dei dialetti, costruendo i personaggi in maniera abbastanza moderna. Il pubblico ha particolarmente applaudito Francesco Villano, nel doppio ruolo di Stefano e di Alonso (il Re di Napoli padre di Ferdinando).

L’amore a prima vista di Miranda e Ferdinando (Paolo Briguglia) è romantico e ben interpretato dagli attori con il giusto entusiasmo giovanile. Prospero stesso, superando la sua iniziale contrarietà all’unione, esprime il suo consenso al loro amore, dicendosi felice della medesima felicità che li ha sorpresi.

La tempesta
Vincenzo Pirotta e Renato Carpentieri ne “La tempesta

Questo adattamento de “La tempesta” ci porta proprio in un’atmosfera onirica e magica.

Ce ne immergiamo bene grazie  alla bella scenografia pensata da Gianni Carluccio in sinergia con la visione drammaturgica di Roberto Andò.

Oltre agli elementi scenici descritti sopra, ci sono delle grandi finestre nel fondo della scena. Da queste si vedono, all’inizio, il mare e la spiaggia su cui atterrano i naufraghi della tempesta. Nel resto dello spettacolo vi appariranno, invece, gli altri personaggi come fossero spiriti oppure come soggetti evocati da Prospero.

Lo spettacolo conferma allo spettatore l’universalità e l’attualità di questa commedia d’addio di Shakespeare. Il pubblico vi è affezionato. Lo si capisce quando pronuncia quasi all’unisono con Prospero la celebre battuta:

Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.

Da secoli la interpretiamo in mille modi. Certo, può significare che è il sonno che conclude la nostra breve vita. E noi siamo effimeri ed evanescenti come i sogni.

Oppure può significare che durante il sonno, spesso di notte, il sogno si fa strumento del nostro inconscio, che è parte essenziale e costitutiva della nostra identità umana. E che proprio quando siamo meno presenti a noi stessi, quando sogniamo (come fossimo vittime di un incantesimo), siamo più profondamente noi stessi. Come dice Gonzalo, l’amico che aveva aiutato Prospero a fuggire da Milano, “ciascuno di noi ha ritrovato se stesso, quando nessuno di noi era più in sé”.

Stefania Fiducia

 

Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.

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