Elio Germano al Teatro Argot di Roma con “Segnale d’allarme, la mia battaglia” dal 4 al 16 febbraio.
Non siamo andati a vedere lo spettacolo il giorno della prima, probabilmente ci siamo persi la possibilità di un confronto diretto con l’attore e regista. Alcune delle nostre domande rimarranno senza risposta e porteranno a delle supposizioni soggettive.
L’evento speciale VR si propone di essere uno spettacolo avanguardistico dove cinema e teatro si intrecciano in maniera indissolubile. Si è completamente immersi in una realtà parallela. Si è protagonisti e spettatori al contempo. La prima fila e la contemporaneità delle azioni sono impattanti ed una novità assoluta. Tuttavia, vedere lo spettacolo con il visore può risultare avvilente dal punto di vista umano ed empatico.
La bellezza peculiare del teatro, a mio parere, è l’introspezione comunitaria. In questo spettacolo si gioca con una individualità senza confronto. Forte anche il messaggio portato in scena. Appunto che dovrebbe essere scardinato osservando anche i visi degli altri spettatori “in tempo reale”.
Qual è la reazione degli altri alle provocazioni portate in scena da Elio Germano?
Hanno delle espressioni di disappunto, hanno sguardi interrogativi oppure mostrano assenso?
L’esperienza con il visore non ha restituito risposta alla mia curiosità, nonostante la visione fosse a 360°.
Una novità che forse non sono pronta a sposare.
Tuttavia, lo spettacolo è un prepotente atto di profonda riflessione. Elio Germano durante i settanta minuti di monologo riesce a catalizzare totalmente l’attenzione dello spettatore. I livelli semantici cambiano con lo scorrere dei minuti. Così come cambia la sua posizione all’interno del cono di luci teatrali. Da uomo in mezzo al pubblico ad uomo al di sopra del pubblico in un crescendo di dispotismo. Ed è a metà dell’opera che si accende la lampadina, l’intuizione della genialità dell’opera, il richiamo ad un “saggio” del 1925.
Al termine dello show la drammatica ed imprevedibile svolta.
Il grido d’allarme che Elio Germano vuole sussurrare alle orecchie dei fruitori è ormai manifesto. Da portavoce di dissenso a despota il passo sembra essere breve. Lo spettro dell’estremismo travestito da semplice buon senso è all’ordine del giorno. Appellandosi alla necessità di resuscitare una società agonizzante, tra istanze ecologiste, nazionaliste, socialiste, planetarie e solitarie, mutuali e solidali l’attore è riuscito a trascinare la platea del piccolo teatro di Trastevere, in un crescendo pirotecnico, a una straniata sospensione tragica fino a condurlo a una terribile conseguenza finale.
In questo giro di sollecitazioni, ciò che più mi ha scosso, è stata la timida approvazione, qualche sparuto applauso durante l’apologia dell’estremismo.
Sintomo chiaro di come sia necessario trovare la cura. Il segnale d’allarme è stato dato. È stato portato in scena.
Bisogna quindi diffondere la consapevolezza che la storia è uno strumento che dev’essere utilizzato da tutti. Leggere, andare al teatro, confrontarsi con il prossimo, andare al di là dei social per riuscire ad osservare la realtà con un piglio nuovo.
La conoscenza insegna. L’esperienza serve a prevenire.
E uscendo dal teatro Argot, passeggiando per i vicoli di Trastevere, ritornando verso casa, pensando all’interpretazione di Elio Germano, di una cosa si è certi: non apprendere dalla storia ci condanna a ripetere gli stessi sbagli.
Alessia Aleo