Questa settimana ricorre l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, in cui si omaggiano le conquiste politiche e sociali che hanno ottenuto le donne nel corso dei secoli. In onore allo spirito di questa ricorrenza, vorrei parlarvi di alcune donne speciali che hanno reso grande il mondo del cinema e del teatro nel mio podcast Backstage: cinema e teatro in dosi.
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Badessa Rosvita
Tra le figure più antiche ma sicuramente più innovative c’è la Badessa Rosvita.
Monaca sassone benedettina, vissuta nella metà del X secolo è considerata tra le prime commediografe della storia. Imitando lo stile di Terenzio, la donna scrive 6 drammi avente come argomento principale, uno abbastanza insolito per il teatro (come disse Silvio D’Amico), cioè l’elogio alla castità. La badessa utilizza una tecnica che diverrà caratteristica dei Drammi Medievali, cioè il continuo mutar delle scene. Dice di lei e della sua tecnica, proprio D’Amico:
Rosvita tratta ogni turpitudine con sì immacolato distacco, contempla le passioni con una tale assenza che la loro pretesa espressione non può indurre se non al sorrido. Tutto in essa è serafico.
Ed ancora, descrivendone l’opera completa:
Non si tratta di drammi, ma di fiabe mistiche, poiche ad un termine del conflitto (come il casto ardore delle vergini e dei martiri) non corrisponde la reale ferocia degli avversari.
Lucrezia da Siena
Facciamo poi un enorme salto temporale e raggiungiamo il 1500. Qua dobbiamo citare Lucrezia da Siena, una delle prime donne di cui abbiamo la certezza di essere parte integrante ed attiva di una compagnia teatrale.
Infatti, un documento notarile, firmato nella Città Eterna il 10 ottobre 1564, cita, come ingaggiata in una compagnia per far commedie nel periodo di carnevale, una tale Lucrezia Senesis, appunto Lucrezia da Siena. Claudio Bernardi, nel suo Storia essenziale del teatro, ipotizza che probabilmente la citata donna, non potendo essere un’attrice (poiché vietato per legge), era una cortigiana di alto livello, cioè con una buona cultura alle spalle, che, a causa delle nuove regole sociali imposte dal Concilio di Trento, dovette trovarsi una nuova forma di sostentamento.
Amelia Pincherle Rossellini
Altra grande artista italiana da citare sicuramente è Amelia Pincherle Rosselli, prima drammaturga italiana.
Classe 1870, madre dei martiri dell’antifascismo Carlo e Nello Rosselli, la scrittrice pubblica una serie di novelle – ed in seguito anche opere teatrali – con pratagonisti tratti da vicende familiari e da figure umili ed emarginate (si pensi a Gente oscura). In un articolo, la studiosa Monica Leigh Streifer afferma, a proposito delle opere drammatiche della Rosselli, che
Dimostrano un impegno ai principi del primo femminismo, trattando temi domestici come il matrimonio, la cura della casa e della famiglia, per commentare socialmente e politicamente la condizione femminile nell’Italia liberale.
Secondo la studiosa infatti, la Rosselli è una delle prime che utilizza il teatro per fare osservare, e quindi criticare, lontano perciò da quel naturalismo tanto in voga in quegli anni.
Alice Guy-Blanché
Il tempo passa e una nuova forma d’arte s’inserisce nel mondo dello Spettacolo. Il Cinema infatti porta con sé una nuova forma di emancipazione, in un mondo che sta cercando di evolversi.
Anche se poco conosciute, molte donne sono state delle precorritrici nella regia. La francese Alice Guy-Blanché è, probabilmente, fiono al 1906, l’unica regista donna al mondo. Anche lei molto attenta a temi contemporanei, come il lavoro e il matrimonio, ma anche temi sociali, come l’uguaglianza tra i sessi, è stata pioniera anche a livello di stile. Pensiamo che solo un anno dopo la prima proiezione dei Lumière, dove si vedeva semplicemente l’arrivo di un treno; Alice, con il suo “La fata dei cavoli” ci racconta per la prima volta una storia, anzi una favola, di una donna in un orto che estrae dei bambini appena nati da una pianta di cavoli.
Fu una delle prime che sperimentò la profondità di campo (si pensi a La vie du Christ), anticiperà di molti anni la sincronizzazione tra immagine e suono; e in un film del 1912, dal titolo A fool and his money, dirige un cast interamente afro-americano per la prima volta. Il motto che lei ripeteva, in corrispondenza della nascita del metodo recitativo che avrebbe cambiato tutto come quello di Konstantin Stanislavskij, era molto semplice e molto esaustivo: “Be natutal”. Facile capirne la rivoluzione in un periodo in cui tutto era posa plastica.
Le divine
Infine voglio parlarvi delle…Divine. Esistono infatti 3 donne, nella storia dello spettacolo, che hanno avuto questo soprannome. Sto parlando infatti di Sarah Bernhardt, Eleonora Duse e Greta Garbo. Tutte e tre infatti, anche se ognuna completamente a modo proprio, sono state a dir poco rivoluzionarie.
Sara Bernhardt
Sara Bernhardt, pseudonimo di Henriette-Rosine Bernard, è stata la prima grande diva.
Eccentrica, vanesia, folle, stravagante ed intenta a fare di tutta la sua vita un vero e proprio show, fece di se stessa un’immagine, capace di influenzare chiunque. Talentuosa ai limiti dell’immaginario, amica di geni come Oscar Wilde e Victor Hugo, scrissero appositamente per lei opere autori del calibro di Sardou, Ronstand e D’Annunzio, con cui ebbe una relazione.
Eleonora Duse
Grande amore però di D’Annunzio, però, fu anche Eleonora Duse.
Classe 1858, respira il teatro da quanto è nata: infatti la sua prima recita è a 4 anni. È lei la prima a distruggere gli schemi teatrali di un tempo. È istintiva, spontanea, si lascia completamente andare al personaggio che interpreta: si racconta infatti che per esprimere dolore in scena, si aggrappava alle tende del sipario; oppure, storica esibizione de La principessa di Baghdad del 1881, quando si slaccio il corsetto rimanendo a seno nudo in piena rappresentazione. Spesso senza trucco e spettinata, Eleonora Duse era vera, completa e totale nel recitare.
Greta Garbo
Greta Garbo invece, sarà la Divina del cinema muto.
Sue le pose sciolte, unite ad una capacità intensa dello sguardo, faranno nascere il mito della “femme fatale”, incapace di sorridere, gelida e sensuale. Lei, con una rivoluzione di costume, ha anticipato di anni l’emancipazione sessuale. Lei, nelle sua morbidezza cruda, riuscì a togliere l’aggettivo femminile alla parola posa, senza però farne perdere il significato, attraverso un’androginia asettica, fuori dagli stereotipi maschili; e libera nella vita privata. Fellini la soprannominò una fata severa.
Donne che hanno fatto grande lo spettacolo ce ne sono molte.
Potremmo citare Lina Wertmuller, prima regista donna nominata agli Oscar; Maria Callas e le sue interpretazioni liriche; la leggiadria di una maestra della danza come Carla Fracci. E poi Misty Copeland, prima ètoile afro-americana dell’American Ballett Theatre; Haifaa al-Mansur, prima regista dell’Arabia Saudita; Kathrine Hepburn e il suo record 4 oscar per la migliore interpretazione principale. Di esempi potremmo citarne molti.
Da uomo, io credo molto nell’8 marzo, ma non come unico giorno per rendere omaggio alle donne.
Il confronto è una cosa quotidiana, che non deve avvenire solamente una volta l’anno. L’8 marzo ci aiuta, soprattutto in periodo storico come questo, a capire quanto sia sciocca l’idea di un’assenza di parità: omaggiare le vite di queste donne, ci ricorda quanto queste abbiano dovuto scavalcare idee patriarcali, stereotipi ed assurde credenze popolari, che oggi purtroppo sono tornate nella quotidianità. Non siete voi, signore, ragazze e bambine, che dovete dovete dimostrare qualcosa; ma non dovete dimenticarvi l’essenza di tutto che, come affermava la stessa Duse:
Senza la donna non va niente: questo l’ha dovuto riconoscere persino Dio.
Francesco Fario
La lettura dell’inno a Iside
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