Audio lettura di Francesco Fario
Video Lettura di Francesco Fario
L’otto Marzo del 3046 è la festa dell’uomo. Una volta doveva festeggiarsi la donna ma, nell’ultimo secolo, sono cambiate molte cose. L’ultima Femminista a combattere per la parità salariale, per le pari opportunità e questa roba qui d’un certo livello è morta più di otto anni fa ed era mia nonna. Ricordo nei bei pomeriggi inondati dal sole, vuoti di impegni dopo la scuola, lei – piccina piccina già tutta scavata dalla malattia e gli occhi verdi bellissimi- si metteva sul divano a raccontarmi del Femminismo come fosse ormai una favola antica e decaduta. Parlava di una differenza tra i sessi come un dato biologico ma anche e soprattutto come costrutto sociale e io non capivo ma poi dalle sue labbra pallide uscivano parole d’un certo peso, come diritti, come opportunità, come uguaglianza. Vedi sei un ometto, diceva, ed è giusto che tu non perda l’essenza delle cose, poi sospirava impercettibile e aggiungeva quasi rassegnata, che tu almeno non perda l’essenza di questa cosa.
Le chiedevo spesso perché diceva quell ‘”almeno” perché io allora, a 12 anni, non capivo ancora come, fuori da quella casa, le cose stessero andando. Mio nonno, seduto in poltrona con gli occhi chiusi a godersi il sole, ogni volta che nonna smetteva di parlare ripeteva il suo mantra, ossia che le femministe avevano rovinato il femminismo. Io non capivo neanche quello ma nonna rideva e dunque doveva essere qualcosa di assai divertente visto che poche volte l’avevo sentita ridere così di cuore come in quelle occasioni. Poi era morta, io ero cresciuto, nonno, sempre più stanco, aveva continuato a ripetere il suo mantra ogni volta che l’andavo a trovare.
Ora lo capivo: e non poteva essere diversamente. Avevo compiuto vent’anni e nei miei lineamenti non c’era più nulla di un ragazzino. Mi ero fatto un uomo e, perché uomo, dovevo adesso badare a molte cose. Dovevo sedere a gambe chiuse per forza di cose sui mezzi pubblici o sarei stato accusato di manspreading, ossia di occupare lo spazio.
Avevo visto invece molte fanciulle occupare un posto in più con borse, zaini, alle volte sedendosi, anche loro, malamente eppure nessuna voce si era mai levata. Mia madre, figlia degna di mia Nonna, mi aveva educato a considerare entrambi i gesti maleducazione, oltre il sesso. Eppure adesso le cose stavano così. Non potevo, l’avevo imparato a mie spese, spiegare un argomento ad una donna perché quello, invece, era mansplaining, cioè mi veniva attribuita una presunzione e un atteggiamento superiore che non avevo e non avevo mai voluto avere. Mi piaceva condividere le idee e il mio sapere, eppure non potevo perché qualcuno aveva avuto la presunzione di attribuirmi un atteggiamento non mio.
Non c’erano più femministe, questo lo capivo bene, perché di diritti non si parlava più. Nel corso del tempo era subentrato qualcosa di diverso e sciocco: ci si appigliava adesso ad ogni cosa, ad ogni gesto, si urlava al patriarcato senza cognizione di causa, ogni cosa era Maschilista anche se non lo era. Come camminare sui cristalli, anzi molto peggio.
Il movimento di queste donne inferocite profondamente arrabbiate col maschio, rabbia cieca e priva di studio e coscienza, vagheggiava un antico torto e un’ antica disparità di cui loro sapevano a stento. Non ne conoscevano l’entità, sapevano che c’era e tanto bastava. Il coinvolgimento delle donne intanto sul lavoro era ancora impari ma non se ne occupavano. Poche quote rosa occupavano posizioni di rilievo ma non se ne occupavano. Una donna doveva ancora pensare alla famiglia e aveva poche possibilità di carriera rispetto ad un uomo ma non se occupavano. Una donna doveva ancora dirsi anche madre per essere completa ma non se ne occupavano. Questo movimento di povere sciocche che nel corso del tempo aveva preso il sopravvento, tramite le vie dei social e della massa, si era significativamente dato il nome di Dominaetdea.
Queste signore impazzivano per il gender fluid e tutti i concetti simili: adoravano l’uomo in gonnella, lo ritenevano campione e vincitore di tutti i mali dell’umanità e se per malagurato caso un uomo voleva vestirsi ancora con i pantaloni, perchè più comodi, allora era un sostenitore di questa bestia poco definita e sfumata del patriarcato. Se un uomo non esternava le proprie emozioni piangendo almeno dieci minuti, era etichettato come vittima dello stesso.
La lingua italiana era stata praticamente messa al bando poiché maschilista. Certo lo era stata ma era stata pur sempre la nostra lingua. L’avevano lentamente massacrata, riempendola di asterischi, abolendo i generi, calpestandola senza rispetto. Dicevano La Studente perché dire invece la Studentessa era innegabile maschilismo. La poeta e non la poetessa. Merkel e non La Merkel.
Avevano fatto fallire tutte le estetiste del mondo perché volere la pelle liscia era sottostare al patriarcato. Una donna doveva necessariamente assumere sembianze animali se voleva dirsi femminista con i fiocchi: sospettavo controllassero che in ogni anfratto tu non ti fossi mai levata manco mezzo pelo per sbaglio o in te, evidentemente, si annidava velenoso il germe maschilista.
Normale che, messe così le cose, gli uomini sentirono il bisogno di istituire un giorno per poter essere liberi di fare le cose in quanto persone e non in quanto solo uomini. Il movimento aveva lasciato che lo facessero in quanto ritenevano che avere un giorno della donna nel tremila fosse segno evidente di inferiorità.
Ora capivo mio nonno e più tremendamente piangevo mia nonna, mi si rivelava quell‘almeno che diceva con la voce leggera. Tornavo allora da mio nonno, gli dicevo la sua frase e lui rimaneva ad occhi chiusi a godersi il sole però io lo vedevo che sorrideva.
Serena Garofalo
Per il podcast sull’8 marzo dedicato alle donne storiche del mondo del cinema e del teatro clicca qui.
Non posso che dirti che mi dispiace davvero che tutto ciò che finora è accaduto nella tua vita ti abbia portata a pensare che pubblicare un temino del genere nel giorno dell’8 marzo fosse un’idea divertente o sofisticata. Ringrazio che le femministe lottino anche per chi come te non vuole prendere coscienza di quanto condizionamento ci sia verso le donne. Sono grata che la tua giornata sia stata così vuota e tranquilla che davvero tu abbia avuto il tempo di pensare a chi per scelta decide di non depilarsi, semplicemente perché non dovrebbe essere la norma. Goditi il consenso dei maschietti, e i fischi dalle auto.
Ciao Giada, il tuo commento mi rammarica molto per due motivi. Il primo è che mi sembra non sia stato colto il femminismo insito nel racconto. Il secondo è invece nell’uso del temine “temino” che ha il peso specifico del piombo e che indica un’assenza di volontà al confronto.
Ti invito a rileggere il racconto tenendo conto di questa chiave di lettura: si tratta di un inno al femminismo e di una critica ad alcune polemiche sterili che a volte ci portano lontano dal focus del vero problema.
Ma quale femminismo insito per favore! Ha identificato quei 3-4 argomenti ricorrenti che vengono usati nelle litigate da social network e ha cercato di propinarli come esito di un’ attenta riflessione sul femminismo vero TM che tanto piace decantare ai misogini (maschi e femmine). Parli di vero problema, e vere soluzioni, me le potresti spiegare esplicitamente? Da questo brano, quale sarebbe il vero femminismo? Che battaglie dovrei portare avanti? Perchè per come la vedo io i cambiamenti non si ottengono con grandi rivolte ma piccoli gesti costanti nel tempo, allora in che modo queste sarebbero polemiche sterili?
Ciao Giada, il mio punto di vista è molto simile a quello espresso da Stefania e da Maria Antonietta nei commenti che trovi qui sotto.
Giada forse è il caso che tu rilegga il testo, frase per frase. E forse è anche il caso che tu distingua tra il femminismo di forma e quello di sostanza perché il primo sta fagocitando il secondo.
E vorresti espormelo questo femminismo di sostanza?
Breaking News: donna con misoginia interiorizzata con like alla pagina di alpha woman si inventa uno scenario orwelliano in cui le femministe hanno preso il potere (come poi? Se lei stessa dice che c’è ancora un enorme divario tra le donne e gli uomini nelle posizioni di rilievo) e poi si arrabbia per le cose da lei inventate senza alcun fondamento.
Dai che in fondo ce la puoi fare, se vuoi ti facciamo un disegnino
Lucrezia, mi dispiace ma credo che non abbia capito del tutto il racconto. Non si dice che le donne (o femministe) avevano preso il potere, bensì che la società era cambiata interiorizzando certi principi femministi (magari anche giusti), ma senza migliorare verso l’effettiva parità di genere. Io ci vedo una critica ad un atteggiamento acritico (mi scuso per il gioco di parole) di chi usa il femminismo per prevaricare l’altro (quasi come una rappresaglia che dovrebbe pareggiare i conti con la Storia) anziché per costruire una società migliore, perdendo di vista le battaglie più indispensabile. Devo dire, anche, che è spiacevole leggere nei commenti dei giudizi sull’autrice anche quando non la si conosce personalmente: come fai a sapere che è “una donna con misoginia interiorizzata”? Infine, questo è un racconto, è ovvio che ci siano delle cose inventate, che per definizione non devono avere un fondamento. Vi si racconta un futuro distopico, che l’autrice non vorrebbe (e nemmeno io) realizzato in quei termini. Esattamente come George Orwell non avrebbe voluto vedere realizzarsi lo scenario di 1984.
La conosco così bene che Serena ha usato il mio nome di Instagram per dare il nome al suo “manipolo di sciocche”, che coincidenza…non trovi? Davvero una coincidenza interessante
Immagina sentirti così centro del mondo da pensare io facessi riferimento a te per due parole che in latino, te lo dico, oltre te esistono. Non ci sentiamo da due anni e neanche durante i cinque anni del liceo ti ho mai dato così importanza, quindi perché farlo ora? Scusa Lucrè ma nella vita di tutti i giorni non sei così domina et dea da starmi costantemente in testa, solitamente penso ad altro.
Sure Jan 🙂
Sarebbe davvero commovente se non fosse che nel mondo reale le donne le stanno opprimendo ed ammazzando davvero. Magari pensiamo a quello anziché ad uno scenario inventato in cui i poveri uomini possono crogiolarsi nel loro insensato vittimismo. Abbiamo bisogno di compagn* per liberarci, puoi fare molto più che difendere intuoi aguzzini, cara scrittrice. Difenderli non ti renderà mai uguale a loro, o superiore a noi povere femministe, ai loro occhi
Esatto, l’hai detto tu: le donne vengono ancora ammazzate e oppresse e noi e il racconto era proprio un invito a pensare a “quello” , come dici. Vedi, il fatto è che spesso questo movimento, che dovrebbe essere impegnato all’ottenimento di uguaglianza e parità, viene frainteso e perso in mille altre battaglie poco importanti che sembrano quasi voler di continuo intraprendere una “guerra” con l’altro sesso. Qui non c’è nessuno da difendere e nessuno a cui essere superiore: eccoti il fulcro.
Ciao Vic sono d’accordo sul fatto che noi donne per millenni abbiamo subìto.
Tuttavia quello che questo racconto ha lasciato a me è che ultimamente si sia un po’ persa la bussola nella lotta contro le ingiustizie e, francamente, sono pienamente d’accordo con l’autrice.
Se non sappiamo più quale è il focus rischiamo tutte di diventare dei Don Chisciotte!
E comunque anche leggendo il tuo commento mi viene da pormi una domanda: siamo sicuri che l’aguzzino, come tu dici, sia sempre e solo il maschio? Ti invito a riflettere.
Tutti stiamo pagando lo scotto del patriarcato: donne vittime e uomini carnefici. La donna non dovrebbe essere vittima né l’uomo carnefice. La donna non dovrebbe essere quella da controllare, né l’uomo colui che controlla, vince e schiaccia. L’uomo non può piangere, l’uomo deve mantenere e basta dopo un divorzio, l’uomo deve essere utile. La donna deve solo fare figli, la donna è emotiva, la donna è mantenuta, la donna sta a casa. Tutti siamo incasellati negli stereotipi. Uomini e donne si meritano di camminare insieme: non esiste una strada per sole donne in futuro, a meno che non le donna non vogliano prevaricare come sono state prevaricate per secoli. Abbiamo una lezione in mano, quella dell’ascolto. E se si giudica e si addita senza guardare la realtà, non andremo da nessuna parte. Certo, noi donne siamo state schiacciate e troppo spesso lo siamo ancora, certi uomini uccidono ancora. Ma non è con la guerra tra i sessi che otterremo qualcosa. E se avrò un figlio maschio mi preoccuperò anche di lui, non solo della figlia femmina.
Ma solo io ci ho visto una critica costruttiva al femminismo di oggi? Un invito a pensare prima alla disparità di genere, salariale ai maltrattamenti etc e poi passare all’uso dell’asterisco, alle mimose ed agli “orpelli” che, forse, tolgono tempo alla sostanza delle rivendicazioni. Poi è vero, sono solo un maschio e non vorrei essere accusato di mansplaining…
Premesso che non reputo mansplaining il tuo commento, direi che anche io ho visto una critica costruttiva al femminismo attuale, in questo racconto volutamente distopico e, forse, provocatorio. Tuttavia, sono solo in parte d’accordo sul fatto che si debba “prima” pensare ai maltrattamento o alle disparità di genere come quella salariale (ancorché li ritenga più urgenti anche io) e poi, casomai al resto. Le questioni relative all’uso della lingua declinata al femminile (nel rispetto della grammatica) o il mansplaining o simili non sono “orpelli” secondo me. Sono comunque importanti e chi ne fa una battaglia contribuisce a combattere il patriarcato che permea le nostre coscienze prima che la nostra cultura, a svantaggio di tutti gli esseri umani. Inoltre, tutti i movimenti femministi combattono contro la violenza sulle donne e le disparità di genere gravi come quelle salariale e sul lavoro. Ma purtroppo sui media e sui social hanno più risalto le polemiche del giorno su come chiamare una donna che dirige un’orchestra oppure su come giudicare una ministra che mette i piedi che calzano scarpe rosse sulla sua scrivania piuttosto che le parole di una sindacalista sulla disparità nel lavoro o quelle dei Presidenti Draghi o Mattarella sulla violenza domestica. Secondo me ci possiamo anche focalizzare su diverse “battaglie”, ma dobbiamo comunicare di più in merito a quelle che – pur essendo molto più difficili – sarebbero più efficaci a migliorare la nostra società.
Assolutamente condivisibile quello che dici ed in parte hai anche spiegato meglio quello che intendevo: ormai creano più dibattito le “polemiche del giorno” rispetto alle disuguaglianze più profonde ancora esistenti.
Il femminismo è fatto, ora bisogna fare le femministe (semicit.)
Bravo Luca, non fai mansplaining, esprimi un’opinione come è tuo diritto. Il racconto sottolinea anche questo eccesso di accuse verso l’uomo, e alla fine gli uomini temono di parlare. L’equità si raggiunge insieme
La cosa che mi sta facendo sorridere è che l’autrice ha pienamente colto nel segno.
Ci preoccupiamo delle parole, ci preoccupiamo dell’esterno; ma di distruggere l’idea che esista un gap sessuale non ne abbiamo nessuna intensione.
Qui non si stanno usando frasi maschiliste o si sta esaltando una visione patriarcale. Si sta invece facendo satira, nel senso più latino del termine, su una condizione contemporanea. Dobbiamo fermare tutto a livello sociale, scavare nella vita delle persone prima di giudicare superficialmente.
Si parla forse bene del femminicidio? No, perché solo i trogloditi non riescono a vederne la tragicità.
Qui si parla proprio delle donne che non si sostengono a vicenda, che si giudicano tra di loro. Mi spiego con un esempio: è come distinguere chi porta le scarpe con i tacchi alti come “femminile” e le scarpe basse come “maschile”, senza soffermarsi a capire che, in entrambi i casi, possono semplicemente solo essere scarpe. Si può al massimo parlare della comodità e della bellezza, ma rimangono soggettive. Così per cose superficiali (come i capelli), così per cose profonde ed esistenziali (come la voglia di parlare e di seguire una vita). Il giudizio è sempre sbagliato; e chi crede di mettersi su un piedistallo ad insegnare a chiunque come vivere la vita attraverso violenza (verbale o fisica, ma sempre violenza), la saccenza, attacchi in massa o altre forme, pongo una banalissima domanda: come si può distruggere il pregiudizio….praticandolo?
Leggendo però molti commenti mi viene da citare proprio il racconto sovrastante: “….ma non se ne occupavano”.
bello notare come la scrittrice, misogina e sicuramente avvilente maschilista che pensa il catcalling sia corretto, sia in realtà piú femminista di quelle femministe che rivestono la loro personalità con certi atteggiamenti ipocriti e teatrali indicibili, irandosi per qualche scemenza o addirittura per qualche galanteria.
Andiamo, é davvero una questione di sedersi a gambe aperte o chiuse o di ottenere una effettiva parità di genere nel mondo del lavoro e della società?
Scrivere su temi controversi come il Femminismo implica, solitamente, una serie di reazioni di varia natura. A volte estreme, come quando lo si percepisce come una offesa ai propri credo più intimi, spesso tracimando nell’attacco alla libertà di espressione. Capita quando ciò che preme non è lo scambio, basato sull’ascolto reciproco, ma la voglia di ribadire la propria ragione. Nello specifico: il racconto tratteggia uno scenario distopico dove il Femminismo ha comunque fallito, visto che il suo obiettivo deve essere la parità. Soprattutto dei diritti e delle opportunità. Per questo riguarda tutte e tutti: qualunque altro traguardo le donne e gli uomini si pongano è destinato a creare ulteriori scontri perché, come cantava Joe Jackson, “And if there’s war between the sexes, Then there’ll be no people left”. Credo, però, che anche le posizioni radicali siano importanti: permettono che non si arresti la discussione e non ci si assesti su quanto raggiunto, visto che il percorso per giungere a superare le disparità tra donna e uomo è ancora lunghissimo.
Mi piace questo tuo punto di vista sull’importanza delle posizioni radicali. Non ci avevo mai pensato. Purtroppo, convincerci per molti anni di aver raggiunto la parità rispetto al passato, ci hanno in realtà arretrare negli ultimi anni.
Grazie a te per aver letto con così tanta attenzione ciò che ho scritto e compreso cosa intendo.
Vorrei intervenire in questo dobattito, pur essendo una vecchia signora di 64 anni, che il femminismo l’ha vissuto in prima persona.
Mi dispiace ma il Femminismo che noi (e tutte quelle prima di noi, a cominciare dalle suffragette) abbiamo praticato, non è quello che a voi è arrivato attraverso le tv, manovrate da una politica machista; né tantomeno quello che molte volte vi hanno raccontato quelle che io chiamo “femministe pentite”.
Il Femminismo derivava da una conoscenza diretta della sottomissione femminile. Noi abbiamo visto le nostre madri chinare la testa al grido di “stai zitta”, solo perché l’uomo che lo diceva le manteneva. Abbiamo visto le nostre zie e le nostre nonne morire di cancro all’utero, per i troppi aborti abusivi subìti. Abbiamo visto ragazze della nostra età buttate fuori di casa perché portavano dentro di loro “il figlio della colpa”.
Abbiamo combattuto, ci siamo fatte manganellare perché le nostre figlie non dovessero subire tutto questo. È chiaro che il racconto di Serena volesse essere una provocazione e non un’esaltazione del maschilismo. E chi non lo capisce, è solo perché il vero maschilismo non l’ha mai conosciuto personalmente.
Detto questo, le vere femministe sono quelle che vivono la propria età senza vergognarsene; che non vogliono sembrare ventenni a 50 o a 60 anni; che vivono la propria sessualità assecondando la loro età perché questa sessualità se la sono guadagnata sul proprio corpo. Il rossetto e le meches sono giustificabili solo se volute da se stesse.
Il Femminismo non significa diventare maschi, ma essere orgogliose di essere donne e non solo femmine.
Il vero errore di questo tempi è l’uso e l’abuso di alcune parole, che hanno perso il loro vero significato. Così come si dimentica che un saluto romano non è goliardia, ma esiste un nome preciso per indicarlo; così si dimentica che femminismo è una parola importante ed ancora più importante è quello che è riusciuto ad ottenere.
Prendete la Festa della Donna come volete: ognuno di noi può festeggiarlo o meno nel modo giusto.
Datemi però retta, ragazze: niente è scontato. E tutto questo che avete, va difeso rimanendo sempre unite.
Grazie per aver voluto prendere parte a questo dibattito, fornendoci la diretta testimonianza di chi i – lenti – cambiamenti avvenuti nello scorso secolo li ha vissuti davvero sulla propria pelle e, anche per questo, diventa una fonte di spunti e riflessioni ancor più importante.
Aggiungo infine una cosa.
Il vero Femminismo è educare i propri figli, soprattutto maschi, nel rispetto dell’essere umano: donna o uomo che sia. Non solo a parole, ma anche con l’esempio giornaliero, anche da parte degli uomini con cui abbiamo SCELTO di vivere.
Perché se noi prendiamo come compagno un maschilista, non siamo delle vere femministe: attraverso un padre rispettoso, i figli capiscono anche l’assurdità di determinati gesti e, molto probabilmente, non prenderanno neanche in considerazione alcuni modi di vita.
La vera responsabilità della condizioni delle donne, è delle donne.
Solo in questo modo si potrà avere la vera parità
Signora Maria Antonietta GRAZIE delle sue stupende parole, soprattutto sul tema dell’esempio che è importantissimo quanto, secondo me, trascurato.
Che imbarazzo.
Un conto é pubblicare provocazioni brillanti e controverse per i likes, un conto é quando manca proprio la parte brillante e arguta.
Pubblicare una cosa del genere l’ 8 marzo quando nel mondo lì fuori ogni ora, sei donne vengono uccise dal partner…quando in alcuni paesi c’ é un pay gap del 45%, quando 1 donna su 3 é vittima di violenza, quando l’ aspettativa di vita delle donne nere é bassissima, così come quella delle donne trans.
L’ asticella del dibattito italiano sul femminismo é giá indietro di decenni rispetto al resto del mondo, ma complimenti, siete riusciti a abassarla vertiginosamente.
Onestamente, la scomparsa della cultura italiana ve la meritate a pieno.