La serie di The Witcher, pluripremiata saga fantasy di romanzi e videogiochi, è sbarcata su Netflix il 20 dicembre.
Nel mondo videoludico The Witcher è uno dei nomi più noti ed in voga degli ultimi anni. Trilogia che ha avuto la sua genesi nell’oramai distante 2007 con il suo primo capitolo, è con l’arrivo nel 2015 di Wild Hunt che le gesta di Geralt di Rivia sono state consacrate nell’olimpo del genere GDR (gioco di ruolo). Il capolavoro della software house CD Projekt RED ha avuto il pregio di fare da cassa di risonanza all’ottimo materiale cartaceo di partenza. Infatti la saga nasce dalla penna, e dal genio, dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski negli anni ’90, facendosi ben conoscere agli amanti del genere. E dopo due decenni, tra adattamenti più o meno riusciti su ogni tipologia di medium, Netflix decide di produrre una serie tv di qualità, forte del suo potenziale economico e soprattutto dell’eco che il nome è in grado di generare negli appassionati.
Sin dal primo istante su The Witcher è calato il pesante mantello di doversi confrontare con l’altra grande saga uscente dello scorso anno, Game of Thrones. Risulta comunque una chiamata alle armi impropria, considerata la differente natura dei due materiali di origine. Unico, vero punto in comune è quello che vede l’appartenenza delle due serie ad un immaginario fantasy.
Ma i toni sono differenti, il contatto con i protagonisti e le loro vicende anche.
Nonostante ciò il ricordo dei racconti provenienti da Westeros sono ancora vividi e caldi nella mente dei fan. Per questo nelle vicissitudini dello strigo Geralt molti sperano di poter trovare, in futuro, un racconto epico di portata ancora maggiore.
Utilizzare l’espressione “in futuro” trova una sua dimensione piuttosto chiara. Questo perché la prima stagione di The Witcher restituisce, costantemente, un’impressione ben definita, ovvero quella di porsi come un lungo prologo e terreno di prova per le stagioni (già confermate ed in produzione) che sbarcheranno su Netflix già nel prossimo anno. Probabilmente è proprio qui da rintracciare il grande difetto delle prime avventure narrate dalla serie creata da Lauren Schmidt Hissrich.
La stagione, composta da otto episodi dalla durata di circa 60 minuti ciascuno, ingrana con difficoltà un racconto pienamente fruibile.
Le prime quattro puntate costituiscono la più grande barriera all’ingresso per i neofiti dell’universo creato da Sapkowski. La serie sommerge di nomi ed informazioni lo spettatore, cercando di camuffare il carattere enciclopedico fluidificandolo nel racconto. Il tentativo è di scampare una messa in scena prettamente nozionistica, riuscendoci però solo in parte. Ma il materiale è davvero tanto e soprattutto complesso, considerando anche l’intrecciata ed infuocata situazione politica del Continente nel quale Geralt viaggia in lungo ed in largo.
A rendere ancora più complicata l’immersione subentra una narrazione aderente ai personaggi ma che viaggia su differenti (e troppe) linee temporali. Ci si sposta avanti ed indietro di decenni nelle vite di creature, maghi e witcher, che vivono per secoli, rendendo estremamente difficoltoso inquadrare gli eventi ed i contesti. Diviene ben presto chiaro che i protagonisti su schermo finiranno per convergere assieme, ma si procede con salti troppo netti che affaticano la visione. Fortunatamente, nella seconda metà di stagione la narrazione appare più distesa e lineare nell’esposizione di ciò che accade ai suoi protagonisti. Si permette, così, di concentrarsi con più serenità sugli sfaccettati rapporti tra i personaggi, da sempre punto di forza della saga di Sapkowski.
Più che dignitose sono le performance dei tre interpreti principali, che vedono Henry Cavill nei panni di Geralt, Anya Chalotra come la maga Yennefer e Freya Allan come la principessa Ciri.
Calarsi nelle vesti di corpi già restituiti ad un immaginario visivo dalla acclamata saga videoludica non è impresa da poco. Considerando sempre che la genesi è da rintracciare nei libri, le perplessità legate alla scelta di attori perlopiù sconosciuti (ad eccezione di Cavill, comunque bistrattato) vengono in gran parte spazzate via. A fronte di alcune sbavature incentivate da una sceneggiatura in alcuni passaggi non sempre brillante, tutti gli interpreti catturano gran parte dell’essenza dei loro ruoli.
Il margine di lavoro è ancora ampio, così come lo è quello legato ad una realizzazione tecnica (compreso il montaggio) non impeccabile. E’ chiaro, e confortante, che per quanto riguarda un miglioramento nella resa di costumi, scenografie e CGI (nel complesso rispettabili) ci si affida ad un futuro incremento del budget. E considerata la portata e riconoscimento del progetto, sicuramente non tarderà ad arrivare.
Guardando le statistiche, le evidenti difficoltà di una nuova e ambiziosa serie non sembrano aver influito negativamente sullo stato di salute del brand. Nonostante una narrazione che può rivelarsi a tratti indigesta per chi si avvicina per la prima volta alle storie dello strigo Geralt, The Witcher pone ottime premesse per il suo avvenire.
Alessio Zuccari