The Last Dance: recensione in anteprima del 7° e 8° episodio

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Gli episodi 7 e 8 di The Last Dance, in uscita l’11 maggio su Netflix, recensiti in anteprima.

Nello strepitoso viaggio nei successi dei Chicago Bulls che Netflix ha dato l’opportunità di fare ai propri utenti con la docuserie The Last Dance, continuiamo a rimanere ammaliati dai racconti dei protagonisti. Eravamo rimasti, con il quinto episodio, al commovente ricordo di Kobe Bryant e della sua prima sfida contro il leggendario numero 23 dei Bulls, diventato in seguito un mentore e “un fratello maggiore”. Mente nel capitolo sesto, si ripercorre la stagione 1992-1993 che vede Michael Jordan all’inseguimento della conquista terzo leggendario titolo dell’NBA e, contemporaneamente messo sotto tiro da parte dei media per il suo vizio del gioco d’azzardo.

La morte del padre e il ritiro del basket

In questa nuova accoppiata, MJ si ritrova ad affrontare la tragedia che forse di più ha segnato la sua vita: la morte del padre per mano di due rapinatori nella Carolina del Nord, dove si trovava per partecipare al funerale di un amico. La notizia sconvolge il mondo dello sport e dello stesso Jordan, il quale, subito dopo, decide di ritirarsi dalla pallacanestro e dedicarsi al baseball professionistico, lo sport prediletto proprio dal padre. Da questo periodo di inattività è nato anche il celebre film Space Jam. La pellicola affronta in maniera meno dolorosa la vicenda, facendo interagire Michael Jordan con i personaggi dei Looney Tunes come Bugs Bunny, Duffy Duck etc.

Il ritorno ai Chicago Bulls

Dopo la parentesi di 17 mesi e risultati modesti nel Baseball, his hairness torna sui suoi passi il 18 marzo 1995 annunciando con un semplice quanto efficace “I’m back” la ripresa della carriera da cestista. Ovviamente viene riaccolto dai tifosi e dalla squadra come un idolo e colui il quale avrebbe ridato nuova energia vitale ai Chicago Bulls. In questa occasione si ripresenta indossando la maglia numero 45, al posto del celebre 23, per sottolineare un nuovo inizio e, come rivela lui stesso nel documentario: “il 45 è stato il mio primo numero quando giocavo alle superiori”.

Oltre alla classe del campione, nel racconto emerge la figura di Michael Jordan come leader dello spogliatoio. Una leadership, la sua, che metteva a dura prova i propri compagni, i quali venivano messi sotto pressione in ogni allenamento per raggiungere i massimi livelli di competizione. Uno degli episodi che fa scalpore è quello che vede protagonista Jordan e il suo compagno Steve Kerr, i quali durante un allenamento sono arrivati alle mani facendo partire una scazzottata. Kerr rivela però come proprio quell’episodio abbia aiutato a unirli ancora di più: “Ci siamo sentiti dopo e lui si è scusato. Direi che quel pugno ha aiutato la nostra relazione”. L’attuale tecnico Golden State Warriors ha proseguito scherzando: “Comunque non lo augurerei a nessuno”.

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