Suburra 3: tra finali inevitabili e scelte troppo frettolose (attenzione spoiler)

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Suburra 3 è appena approdata in streaming su Netflix e disponibile dal 30 ottobre con la sua terza e ultima stagione lascia perplesso il suo pubblico.

Suburra 3, dove ci siamo lasciati e da dove si riprende

Trepidante attesa da parte di chi, dopo l’ultima scena di Suburra 2, era rimasto con il fiato sospeso, pieno di interrogativi nel sapere come, la serie prodotta da Cattleya, avrebbe proseguito nel narrare il marcio che si nasconde nella “città di mezzo”. Ci avevano lasciati così: con il politico, una volta pulito, Amedeo Cinaglia eletto primo cittadino della Capitale, Samurai e Sara diventati alleati e Lele che, schiacciato dal senso di colpa, decide di togliersi la vita uscendo di scena con quella frase che ha lasciato tutti a bocca aperta “però non sono come voi”.
E Aureliano e Spadino? Hanno stretto ancora di più la loro alleanza, con dei sentimenti che vanno oltre la bramosia di potere per governare su Roma da un lato, e la voglia di vendetta per Lele, uccidendo Samurai dall’altra. Ora sono legati dall’amicizia e dal senso di fratellanza.
Questo cambio di guardia si sente tutto fin dalla prima scena della nuova stagione e detta tutti i tempi narrativi della serie, dall’inizio alla fine.

Suburra – La serie, non chiamatelo prequel

Questo faro sul legame profondo tra Aureliano Adami e Spadino Anacleti, famiglie da sempre antagoniste per aggiudicarsi la supremazia nel mercato della droga sulla piazza di Ostia, è sicuramente l’elemento che rompe maggiormente con l’interpretazione data in Suburra – Il film, diretto da Stefano Sollima nel 2015.

Lì ai due personaggi è riservato un fugace e superficiale incontro che non fa pensare a nulla di più di un rapporto basato sui soli affari. Ma la netta distanza dal film non è data solo dal rapporto tra i due protagonisti. Infatti uno degli elementi che lascia più spiazzato il pubblico della serie è che i due finali non coincidono affatto, anzi. C’è un’enorme incongruenza tra il finale del film che vede la morte di Aureliano Adami, “numero 8” per mano di un sicario di Samurai(nel film interpretato da un impeccabile Claudio Amendola) e il finale proposto nella serie. Certo è, che entrambi hanno una cosa in comune: la morte di Aureliano, in un contesto totalmente stravolto.


Ma in seguito ad un’attenta visione già delle prime due stagioni di Suburra, pare chiaro che si voglia tenere le distanze dall’omonimo film uscito due anni prima. Tutto lo preannunciava: la personalità camaleontica dei personaggi, il loro lato oscuro e spietato che si mescolava a quello più debole e sensibile, il loro look, i toni e i dialoghi, molto più realistici e articolati e la scelta di trattare in ogni stagione, in maniera approfondita, il marcio che si nasconde nella profondità di una delle città più belle del mondo, Roma. Quindi perché stupirsi di questa scelta da parte degli sceneggiatori? Sì, è vero, Suburra – la serie, quando apparve la prima volta nel 2017, venne presentata come il prequel del film, ma così non è. E’ un’opera a se stante, che vive di vita propria. E di vita propria vivono i personaggi che nella terza stagione non fanno altro che abbracciare il loro destino, quello inevitabile che si sono costruiti stagione dopo stagione, puntata per puntata. Un destino che è diverso da quello del film. La serie è un alternarsi di emozioni galoppanti, di colpi di scena, di rotazione di personaggi tutti con una loro storia, tutti con un loro perché. Cosa che certamente nel film non era affatto emersa.

Suburra 3: tra scelte frettolose e gap temporali

Ma il voler prendere le distanze dal film, proporre un finale alternativo e introdurre dei nuovi personaggi, forse non basta per convincere totalmente il pubblico della serie.
Guardando le sei puntate che compongono quest’ultima stagione, si ha come la sensazione che gli autori avessero fretta di concluderla al più presto. Guardando l’ultima puntata, infatti, si rimane con l’amaro in bocca e molti punti interrogativi. Non tanto per la scelta di far morire il coprotagonista Aureliano Adami, piuttosto per i gap e per la velocità con cui alcuni personaggi escono di scena.
Il caso più eclatante è sicuramente la morte di Samurai: Il criminale per eccellenza che ha trascorso la maggior parte della sua vita a creare un impero basato sulla corruzione e il marcio e a tessere legami con politici e malavitosi. Francesco Acquaroli abbandona il set già alla prima puntata, con una morte che lascia il pubblico insoddisfatto: per mano di Aureliano e Spadino. Una morte troppo semplice e scontata per un personaggio che da solo ha retto le fila delle prime due stagioni.

Sara Monaschi che più volte è stata l’ago della bilancia di situazioni al limite tra il perverso e l’illegale soprattutto nel contesto ecclesiastico, abbandona la serie senza troppe spiegazioni e ripercussioni. Come se non ci fosse mai stata.

Adriano, il figlioccio di Samurai che nel finale della precedente stagione si era presentato come quel terzo moschettiere della criminalità, quasi a voler ricoprire il vuoto lasciato da Lele, pronto a rinnegare il passato da “galoppino”per iniziare la sua battaglia personale proprio contro Samurai. Ma quando questo muore, lasciando ad Adriano una lettera dal non ben specificato contenuto (uno dei tanti gap della serie) facendo intuire che forse gli avesse lasciato in eredità il crimine della città di mezzo; Adriano si tira indietro, come se illuminato da un’inspiegabile voglia di redenzione.

Sarà stata colpa del Covid oppure no, ma guardando con attenzione alcune scene, situazioni e salti temporali,sembra davvero che gli ideatori volessero concludere la stagionecon una certa fretta.
In effetti andando a ritroso, e ripercorrendo le fasi di realizzazione dell’ultima stagione, apprendiamo che le riprese si sono interrotte a causa della pandemia e sono ricominciatesolo ai primi luglio. È presumibile quindi che per rispettare i tempi di produzione, si sia scelto di accelerare un po’ il tutto, a discapito dell’ottima riuscita che ci saremmo aspettati dall’ultima stagione di una serie che fino a questo momento non aveva mai deluso.
Pochi colpi di scena, forte prevedibilità e gap temporali sono gli elementi caratteristici di una stagione fiaccache accompagna il pubblico all’unico finale possibile. Scontato.

Il punto di forza di Suburra? I personaggi

L’evoluzione che idue co-protagonisti hanno avuto nel corso delle tre stagioni l’abbiamo già citata: ossia questa amicizia profonda e atratti spasmodica, che fa presumere fosse sfociata anche in un sentimento molto più profondo e simile all’amore da parte di Spadino nei confronti di Aureliano. Questo non ci avrebbe stupito affatto vedendo il percorso introspettivo dei due personaggi e il fatto che Alberto Anacleti avesse dichiarato al pubblico di essere omosessuale.

La scena dello scontro tra “gli zingari” e Aureliano, una delle più attese dell’ultima stagione e anche l’apice della manifestazione dell’amicizia tra i due, ricorda a tratti lo scontroshakespeariano tra Mercuzio e Tebaldo.Infatti così come Mercuzio interviene per difendere l’onore dell’amico Romeo, rimanendone ucciso, così Aureliano interviene in difesa dell’amico fraterno Spadino. Una scena degna del titolo “ cronaca di una morte annunciata”.

Ma nonostante i forti vuoti e la velocità di narrazione, Suburra 3 ha il primato di trattare i personaggi  con grande meticolosità, scavando interiormente dentro di loro facendo emergere le debolezze e il marcio più recondito. I protagonisti sono in continua evoluzione, una continua scoperta antropologica chealtro non è che il riflesso di uno spaccato di società realmente esistente. A darne conferma è l’evoluzione negativa del personaggio di Amedeo Cinaglia, che da politico appassionato, nel corso delle tre stagioni, si trasforma in uno spietato politico senza scrupoli, pronto ad uccidere la propria moglie pur di continuare la corsa verso i propri obiettivi.
Un altroelemento di forte credibilità che rispecchia la narrativa sulla malavita organizzata, è il ruolo delle donne. Qui Angelica (Carlotta Antonelli) e Nadia (Federica Sabatini) si discostano completamente dai clichè cinematografici delle “donne dei boss”. Hanno una personalità propria, indipendente, ben delineata a prescindere dal fatto di essere o meno “la donna di”.Si sporcano le mani, fanno affari in prima persona, sono disposte ad accettare un matrimonio di facciata pur di salvaguardare la famiglia e difendono il proprio uomo anche a costo della propria vita. Un’interpretazione del tutto nuova che convince fino alla fine.

Suburra 3, in conclusione, è ancora più apprezzabile se si prende per quello che è: un possibile spaccato della vita contemporanea di quel mondo marcio e malavitoso fatto di spaccio, politici corrotti e una classe clericale non del tutto pura. È ancora più apprezzabile se si pensa ai dialoghi: scarni, sbiascicati, pieni di parole tronche. Perché diciamoci la verità, non è pensabile che nei bassifondi della malavita romana si possa parlare un italiano forbito, o meglio ancora l’italiano. Quindi i vari “annamo, daje e pijamose Roma”non sono decontestualizzati se ricordiamo sempre che non stiamo osservando una commedia di Luigi Pirandello, ma un telefilm avente come protagonista la mafia capitolina.

Sara Alvaro

Calabrese di nascita e romana di adozione, vivo di comunicazione a 360°: social media strategist, web content manager, blogger. Tanti paroloni per dire che amo la comunicazione in tutte le sue declinazioni. Vegetariana per scelta e intollerante alimentare cronica. I miei punti di forza per aprire un blog di ricette per intolleranti, che come me non rinunciano al piacere del buon cibo.

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