Intervista a Massimo Boddi, autore del romanzo “Miseria Puttana”

Massimo Boddi intervista scrittore

Tra i romanzi dell’estate 2022 ho segnalato Miseria puttana, un libro che ho definito un piano-sequenza sull’estate 1994 a Piombino; un’opera che profuma di nostalgia, adolescenza e “bischerate”. Per citare i Nirvana Miseria puttana “Smells like teen spirit”.
Ho avuto il piacere di intervistare l’autore esordiente Massimo Boddi e vi riporto la nostra chiacchierata.

1Miseria puttana è il tuo romanzo d’esordio. Quando e perché hai sentito la necessità di scriverlo?

È il romanzo che ho sempre avuto nella pancia. Principalmente perché racconta il mito di quelle estati in cui da ragazzini si scorrazzava in strada a fare baldoria. La prima sensazione che ricordo è la libertà che avevamo.

Stavamo sotto al sole e la cosa ci piaceva. Passavamo le giornate così, a chiacchierare di dinosauri, alieni, fantasmi. Cercavamo le avventure, ci ficcavamo nei guai, costruivamo castelli con i cartoni degli elettrodomestici. Quando la vita era tutta da scoprire e si aveva voglia di fare tutto. Mangiavamo la focaccia salata con la cipolla cotta sopra, oppure la pizza al pomodoro con doppia mozzarella. Le corse, le pedalate, gli scherzi, insomma la benzina non finiva mai. E la sera tornavamo a casa con i piedi neri, stanchi ma divertiti.

Gli ultimi vent’anni sono stati di vero apprendistato alla scrittura.

Chissà se sono riuscito a restituire quelle emozioni romantiche tipicamente adolescenziali.

2Il titolo è legato a una profonda riflessione finale del protagonista Simone sulla vita. Come mai hai scelto proprio questo titolo? È una dichiarazione di poetica come la citazione a Bukowski? C’erano altri titoli candidati? 

Il titolo del romanzo non vuole essere solo una provocazione. È nato così, dallo stomaco, senza strategie a tavolino. È stata la prima e unica scelta e l’ho trovato perfetto fin da subito. Credo sia il titolo giusto perché riflette bene lo spirito degli eventi: l’esperienza di vita selvaggia, la libertà, la strafottenza, la spacconeria, le ambientazioni e soprattutto le vicende urbane che vengono raccontate. Bukowski è stato senza dubbio un importante compagno di viaggio nella mia formazione letteraria, insieme a Dostoevskij e Moravia, e la citazione a Panino al prosciutto non è casuale.

Volevo rimettere insieme la nostra stagione più avventurosa. Siamo quelli della provincia toscana, cresciuti tra mare e acciaieria a Piombino, nell’humus della cultura contadina e operaia. Abbiamo imparato dai nostri nonni e dai nostri genitori il valore di lavorare sodo e di un lavoro ben fatto che ripaga la fatica. Farsi il culo, farselo bene: una filosofia cruda ma essenziale.

Essere ottimisti significa affrontare una battaglia quotidiana sempre più coraggiosa. Perché si è costretti ad aggirare continuamente l’ostacolo dello sfruttamento, dell’avidità, dello stigma sociale da ultimi degli ultimi: è il trionfo della determinazione come esseri umani. I personaggi che ne sono usciti fuori, dai giovani agli adulti, sono anti-eroi, anti-conformisti, fedeli a loro stessi nel bene e nel male, dal retrogusto grottesco, ironici e dissacranti quanto basta, ma soprattutto pieni di cazzimma.

3Come mai hai scelto questo stile ruvido? A me è piaciuto molto ma non tutti amano una scrittura così diretta. Ti sei sentito in dovere di spiegarlo? 

​Mi piacciono le consistenze di un certo tipo: la pesca noce, la frutta ancora un po’ acerba, le verdure poco cotte e croccanti. Il mio stile è questo: una scrittura da mordere, ruvida, dal sapore poco zuccherato. Non mi interessa piacere per forza, preferisco comunicare la sincerità dell’esperienza, la verità dei contrasti e spero che questo messaggio arrivi diretto al lettore senza troppa e inutile retorica.

Il mondo che il romanzo abbraccia è quello che spesso, crescendo, abbiamo imparato a dimenticare, evitare o rifiutare. È un mondo che sputa, piscia, perde moccio e puzza. Il linguaggio è quello urbano, grintoso, iperrealista e rimane fedele alla propria missione. Se ho voluto sfidare intenzionalmente il lettore? Può darsi. Ho però cercato di essere un narratore affidabile, nel senso che non prometto mai un significato diverso dalla verità nuda e cruda. O te ne innamori o lo disprezzi. Anche perché le vicende narrate sono molto realistiche (e forse anche reali), chi può dire il contrario?

4A chi hai fatto leggere la prima stesura? 

Mi hanno sostenuto in molti ed è giusto riconoscerlo. Ringrazio l’amico Gabriele Parenti per avermi letto, consigliato e incoraggiato fin dalle prime bozze. Il suo entusiasmo mi ha dato la spinta a continuare. Grazie all’amico Renato Zagari, apprezzato videomaker e autore radiofonico, perché è stato fondamentale per i dialoghi in dialetto napoletano: sono un toscano meridionale e sono fiero di esserlo. Grazie anche a mia sorella Sara per la bellissima illustrazione di copertina. Grazie a mia moglie Chiara che sempre mi supporta e mi sopporta.

Infine, ultimo ma non ultimo, ringrazio l’amico Gabriele Nannetti per avermi seguito e spronato, ma soprattutto per i suoi preziosi suggerimenti dalla fase di stesura all’editing finale del romanzo. Senza di lui mi sarei perso.

5Quanto c’è di autobiografico nel libro? È una combinazione che sia tu sia Simone siete nati Piombino e livornesi di adozione? 

Tra verità e finzione, c’è molto di personale sia a livello emotivo che di esperienze vissute, ma anche il riferimento a storie familiari e al mio personale percorso di crescita. Alla trama dei quattro amici s’intrecciano aspetti e difficoltà del quotidiano, nel confronto tra genitori e figli adolescenti.

C’è una scena fondamentale nel romanzo che pone le basi per lo sviluppo del personaggio di Simone, e a cui tengo molto. Ci sono padre e figlio che lottano con l’insonnia, parlano alla finestra davanti alla pioggia d’estate. «Veniamo a noi» dice il babbo prima di spiegare a Simone la situazione: il lavoro nuovo, traslocare a Livorno, dare una possibilità in più alla famiglia. Gli fa notare che quando sarà più grande capirà che «girare con la stessa chiave, tutta la vita, è impossibile, cambiano le situazioni così come cambiano le porte».

Simone allora abbassa il mento. Fissa il pavimento per una manciata di minuti. Non risponde subito perché non trova le parole e perché ha paura che babbo Bruno ammetta quella verità. «Bisogna prendere una decisione, e se la prendiamo insieme mi sentirò molto meglio» dice al figlio che poi replica sicuro: «Se c’è andata bene così, babbo, ci andrà bene anche da un’altra parte» e gli giura che, il cambio di vita, non glielo farà mai pesare.

Accettare quel destino, condividere la responsabilità verso il futuro della famiglia, lo fa diventare grande e maturo nell’arco di quella stessa notte.

6Nel libro gli eventi si svolgono negli anni 90 e il contesto emerge con prepotenza. Ci sono le musicassette, il Liquidator, Beverly Hills, Corona. Qual è il ricordo per cui tu provi più nostalgia? 

Gli anni ’90 sono un riferimento. Ricordo com’era crescere solo qualche decennio fa, senza le tecnologie di oggi che diamo per scontate. Quando c’era la musica grunge con i suoi testi ruvidi, carichi di sfiducia, le chitarre distorte, il suono crudo: c’erano Nirvana, Alice in Chains, Pearl Jam solo per citarne alcuni.

Come musica di sottofondo del romanzo ho scelto i Soundgarden con Black Hole Sun, c’è più di un motivo se ritorna come leitmotiv. Il nostro stile era quello di vestirci trasandati, con i jeans strappati e con le prime cose che capitavano a tiro: era un po’ il segno della nostra ribellione al mainstream.

Se c’è un significato ancora più grande, è che la rivoluzione grunge ha inaugurato l’idea che essere perdenti, per la prima volta, era un valore. Tutto questo si riflette nei protagonisti del romanzo che sono dei veri e propri outsider. Insomma, se in Miseria puttana c’è davvero un senso di nostalgia, è il sentimento della stessa nostalgia ad accendere il ricordo e le emozioni: il desiderio cioè di tornare a vivere l’incoscienza di quell’età.

7Secondo te quale è la differenza tra un adolescente degli anni 90 e uno di oggi? Un teenager di oggi può cogliere il senso del tuo racconto? 

Più che essere la tecnologia in sé, a creare il divario tra la mia generazione e i teenager di oggi, secondo me si è perso piuttosto il gusto della sorpresa. Vai a un concerto? Sai già cosa vedrai o ascolterai perché hai già messo in play decine di video su YouTube. Vai a visitare un luogo? Lo conosci già perché hai cercato gallerie di foto su Google e viaggiato con i virtual tour. 

Ricordo che abbracciavamo il mistero, il pericolo e l’avventura con tanta più scioltezza: le generazioni cambiano anche sotto quest’aspetto. Forse, quello che davvero si è perso oggi è la capacità di “sporcarsi le mani” come noi eravamo invece abituati a fare. Ci riunivamo nei cortili a costruire giochi e congegni, le cose spesso ce le inventavamo. Si correva nell’erba e in campagna, ci si arrampicava sugli alberi facendo a gara a chi arrivava più in alto. Avevamo ginocchia e gomiti sbucciati e il vero passatempo era la nostra stessa fantasia.

Non so e non sono sicuro che la tecnologia costituisca un vero divertimento per i nuovi teenager. Sicuramente è diverso.

8Io penso che comunque i sentimenti e le emozioni provate dai teenager sono universalmente riconosciute dagli adolescenti di ogni epoca. Non a caso io sono una grandissima fan de I ragazzi della via Pal e de La banda dei brocchi. Tu hai un romanzo di formazione preferito da cui hai tratto ispirazione? 

Panino al prosciutto di Bukowski mi ha colpito molto quando l’ho letto a poco più di vent’anni. È un romanzo di (de)formazione sulla crescita e lui racconta la sua storia con uno stile brutalmente semplice, schietto ed efficace. Non è solo la vicenda di un perdente emarginato chiuso in un guscio. C’è molto di più. Uno dei momenti di luce in Panino al prosciutto è la fuga del protagonista nella biblioteca pubblica, dove scopre il piacere di leggere: i libri non fanno i prepotenti, non fanno sentire meno di zero. Piuttosto, sono una via di fuga: l’ho trovato meraviglioso perché è stato così anche per me, in quel momento della mia vita.

Con questo non voglio dire che ho voluto fare un Panino al prosciutto all’italiana, assolutamente no. Miseria puttana è altro. Nel mio romanzo, i quattro compagni di strada rifiutano le fondamenta, la mentalità da gregge, s’imbattono in avventure e disavventure. Agli occhi del lettore possono sembrare dei reietti. Ma solo apparentemente sono ribelli senza causa. Resistono e si oppongono al conformismo sociale, e la cultura della classe operaia è un veicolo per le passioni di questi adolescenti contro ingiustizie, precariato e appunto la Miseria.

9Che fine hanno fatto oggi i quattro protagonisti? Chi sono diventati? Siete ancora amici? 

Anche se la vita ci ha messo su strade diverse, siamo sempre amici. Siamo cresciuti, c’è chi si occupa di ingegneria, chi fa l’operaio edile, chi il geometra. La nostra adolescenza e la nostra amicizia fanno parte di tempi mitici. Si sono esaltati quando ho dato loro la notizia che il romanzo era fuori. Mi hanno detto di averlo già letto due, tre volte e questo mi fa piacere. D’altronde non può essere altrimenti: le vicende che ho narrato in Miseria puttana sono vere al 97%, il restante 3% è favola. O forse no. Forse è il contrario e vi sto solo prendendo in giro. Chissà.

10Che progetti hai per il futuro? C’è un altro libro a cui hai pensato? Cosa puoi anticiparci? 

Sto prendendo la scrittura come un gioco. Non mi interessa fare genere, preferisco farlo nel modo sbagliato. Mi piace provocare, provocare una reazione intendo. L’unica verità è nel modo in cui si colpisce il lettore. Io penso che la giusta ricetta metta insieme la verità dell’esperienza, qualche elemento fantasioso, e un linguaggio commestibile. Mi piace scrivere perché qualcosa della vita sfugge sempre. Ma soprattutto, mi diverto.

Sto mettendo al mondo due nuovi computerscritti e forse l’ho già fatto: il primo, l’ho ambientato sempre negli anni 90 e racconta la sballata routine di quattro amici ventenni, vivono in bilico tra sogni, insicurezze, fallimenti, vendette e stravaganti rimonte, sono veri e propri apprendisti della vita; il secondo, parla di giovani calati nella realtà dei giorni nostri, si muovono ai margini della cultura globalizzata e connessa, sono un po’pecore nere un po’ mosche bianche, finiscono per cadere in situazioni bizzarre che fanno da contrappeso alle riflessioni su identità e aspirazioni.

In generale, quello che mi ispira è che ogni generazione credo sia spaventata dal terrore esistenziale di non poter avere tutto ciò che gli è stato promesso, e di sentirsi per questo ancora più vuota. Viviamo in una società molto competitiva, dipendente dai social network, dalle logiche del marketing, e chiunque è chiamato a stare alle regole di questo gioco estenuante per tenere il passo e non rimanere fottuto. Sembra quasi impossibile per noi considerare il nostro futuro senza questa sensazione di terrore.

Valeria de Bari

Sceneggiatrice, chitarrista, poetessa, pittrice: quello che sogno di diventare da grande. Ops ... sono già grande. Amo la musica (soprattutto il punk, il rock e le loro derivazioni), le immagini-movimento e l'arte del racconto (o come si dice oggi lo "story telling"). La mia vocazione è la curiosità. That's all folks

2 Commenti

  1. L’autore del romanzo è classe 83′, mentre il sottoscritto è più vecchio di una dozzina d’anni. Avendo vissuto appieno da ragazzino la Piombino anni 80′, noto “distonie” a riguardo di certe descrizioni; il libro potrebbe essere per tutti, ma se uno è piombinese le cose cambiano. L’autore si è trovato nel 1994 all’età di 10/11 anni in una cittadina siderurgica che stava vivendo la più grande crisi dell’acciaio mai avvenuta in precedenza, mentre la mia generazione nel 1981 avvertiva il maximum storico di assunti nei vari stabilimenti (Acciaieria, Dalmine, Magona ecc, la prima cassa integrazione arriverà solo pochi anni dopo). Nel febbraio del 1981 lo stabilimento principale contava 7823 dipendenti punta massima nella sua storia (dai Wikipedia). La generazione dell’autore invece cresceva nei 90’s, con il sentir nominare dagli adulti la crisi cittadina ogni minuto della giornata. Da qui l’idea della normalità nella tragedia che si riflette un pò su ogni aspetto, anche se ovviamente da ragazzi è più semplice assimilare il tutto ridendo e scherzando con gli amici sentendoci invincibili. Lettura gradevole, ma a mio modo di pensare incomprensibile in certi tratti ai non autoctoni.

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