Un tavolino, un caffè, una scelta. Basta solo questo per essere felici.
Finché il caffè è caldo
Con questo slogan su copertina, Garzanti pubblica un paio di anni fa il primo capitolo di quella che sta diventando una saga virale: l’effetto “Kawaguchi” è iniziato il 12 marzo 2020 con “Finché il caffè e caldo”, è proseguito il 14 gennaio 2021 con “Basta un caffè per essere felici” e arriverà all’apice nei prossimi giorni, con l’arrivo del terzo capitolo: “Il primo caffè della giornata”.
Per chi non avesse mai sentito parlare di questo autore e dei suoi libri, ma soprattutto per chi si sta chiedendo perché il caffè sia così importante per la nostra felicità, questo è decisamente il luogo giusto per approfondire.
Una trama originale non è sufficiente
Come sempre, si parte dalle basi, e quindi dalla trama: in Giappone c’è una caffetteria antichissima in cui è possibile viaggiare nel tempo. Una volta seduti su una determinata sedia (che non è così semplice da liberare), si può tornare indietro in un preciso momento, a patto di rispettare una serie di regole. Prima su tutte: finire il caffè prima che si raffreddi.
Devo ammettere che mi sento un po’ ingannata dalla copertina, dalla trama e da tutte le aspettative riposte in quello che la stessa libraia ha definito un vero best seller quando mi ha convinto a comprare Finché il caffè è caldo. La verità è che mi faccio tentare dal fascino orientale, credendo sempre che a fine libro io possa aver appreso una qualche lezione di vita, come spesso mi è capitato con Classici di altra natura e portata. Purtroppo, però, come mi accade anche quando tento di leggere Murakami, alla fine mi annoio sempre. Ho notato che gli autori orientali hanno delle bellissime idee, del resto la trama di Finché il caffè è caldo è molto intrigante, ma per quanto mi riguarda i loro libri sono difficilissimi da finire. Il motivo principale è che li trovo freddi. Nel caso di Kawaguchi la questione si fa ancora più grave perché – come potrete facilmente intuire – chiunque voglia tornare indietro nel passato ha qualche nodo da sciogliere.
La sagra del perbenismo
E qui arriviamo al dunque: quale sarebbe la lezione di questo libro? Al suo interno si intrecciano una serie di storie dall’idea commovente, che però non commuovono affatto. Mentre leggo i motivi per cui queste persone vogliono tornare indietro, io non empatizzo con loro, non vivo le loro emozioni e soprattutto non ho assolutamente fame di sapere come va a finire. Forse l’unica storia che riesce a muovere qualcosa dentro è quella finale, “Madre e Figlia”, ma è stato comunque molto pesante finire il libro.
Se volessi recensire con una frase Finché il caffè è caldo basterebbe un detto impietoso, tipo “chi non risica, non rosica”. Ma quanta banalità si nasconde in un testo che vorrebbe farmi credere che possiamo essere persone migliori se ci comportassimo diversamente in una determinata occasione? Sfogliando le pagine del libro, siamo costretti a nutrirci di un perbenismo davvero inutile, che forse farà sospirare tutti quelli che nella vita vivono di “ma” e di “se”.
Non nego naturalmente che alcune cose della vita le capiamo anche dopo anni guardandole con un occhio critico differente. Ma questo non vuol dire che sarebbe stato meglio comportarsi diversamente, anche perché come richiesto dal viaggio del tempo offerto dalla caffetteria, il futuro non può essere cambiato. Quindi l’unico motivo egoista per tornare indietro è fare pace con se stessi per poi continuare a vivere una vita di illusione in cui si crede di essere diversi da quello che si è, magari anche “migliori”, perché si è osato fare qualcosa (a posteriori) che sicuramente ci aiuterà ad affrontare meglio il presente, anche se di fatto non abbiamo potuto cambiare nulla.
Il punto è che non c’è nulla di meglio di quello che siamo, anche quando siamo il peggio. Forse solo questa consapevolezza può donarci la pace, piuttosto che una vita di rimpianti e di sopportazioni inutili, alla ricerca dell’approvazione altrui e del perdono per essere stati tutto quello che la complessità dell’esistenza ci richiede di essere.
Questo libro poteva essere sviluppato molto meglio per consentire al lettore di vivere i viaggi nel tempo e farli propri. Nel mio caso non ci è riuscito, ma sono sicura che qualcuno potrebbe trovarlo interessante per sviluppare un film. Inutile dirvi che non leggerò i capitoli successivi al primo.
Alessia Pizzi