A prescindere dal giudizio critico, o dal gusto soggettivo di ogni spettatore, Sulla Mia Pelle possiamo già definirlo in un modo. Un film doveroso.
La storia vera del fatto di cronaca che ha visto triste protagonista Stefano Cucchi, proseguito poi nella battaglia giudiziaria, civile e morale, della sorella Ilaria, merita il grande schermo. Non perché sia un soggetto fortemente cinematografico, anzi forse il contrario. Eppure il cinema è forse l’arte migliore con cui rendere giustizia a tale racconto.
Giustizia se il film è buono e ovviamente, e fortunatamente, Sulla Mia Pelle lo è. Efficace lo è sicuramente, forte addirittura troppo: dura 100 minuti, non tanto, ma già dopo 60/70 inizia ad avere poche cose da aggiungere.
Eppure, è giusto e doveroso che il film scelga la strada della cronistoria fedele. In tutto fedele, anche nei punti oscuri e mai definiti dalle sentenze, che per quanto brutti (o forse proprio per quello) il film lascia intuire e non getta in faccia allo spettatore. Una scelta condivisibile, perché Sulla Mia Pelle non è un film di exploitation, tantomeno di denuncia: è un ricordo, triste e doloroso ma assolutamente dignitoso.
La pelle del titolo diventa anche quella degli spettatori, sotto la quale il calvario dei protagonista si insinua in maniera decisa.
Non c’è il facile pietismo, perché le vie melodrammatiche avrebbero fatto solo danno ad una storia simile. C’è semmai la realtà al centro di tutto, l’impossibilità di avere una catarsi nella società in cui viviamo, il dolore sia interiore sia esteriore.
Si passa di caserma in caserma, di ospedale in ospedale, di rifiuti in rifiuti. Un calvario autentico che, com il film ricorda, è stato vissuto da Stefano Cucchi in prima persona ma anche dai genitori, che quel figlio non lo hanno più rivisto.
Una settimana terribile quella di Sulla Mia Pelle, che evita la discalia oppure la retorica partigiana, ma si concentra sui sentimenti e sui fatti. Si può inventare quanto si vuole, ma la realtà supera sempre la fantasia nelle cose brutte, purtroppo. Un film non può fare tanto, può accendere una luce: quella sulla vicenda di Stefano Cucchi è doveroso non si spenga mai.
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Emanuele D’Aniello