Il fatto che Unsane sia stato pubblicizzato e venduto soltanto come “il film girato con l’iPhone” è un grosso limite.
Sicuramente è un dato di fatto che Unsane sia stato realizzato così, e Steven Soderbergh con questa metodo, più che sperimentare, ha voluto divertirsi. Ed è pure vero che divertendosi il regista, uno dei più eclettici e preparati in circolazione, lo ha reso uno strumento utile all’intento della pellicola, perché squadrando l’immagine e illuminando la scena con l’effetto della ripresa da sorveglianza si è creata un’atmosfera perfetta. Ma appunto, al tempo stesso, non gli rende giustizia. Oltre l’iPhone c’è di più, potremmo dire.
C’è, prima di tutto, la voglia di fare cinema con la C maiuscola, ovvero intrattenere raccontando anche qualcosa. Possiamo definire Unsane nella sua essenza un B movie, un thriller che avvolge lo spettatore nel suo clima distorto fino a rinchiuderlo nella propria paranoia. Non è un trip, perché Sodebergh non vuole interrogarci su cosa è reale e cosa non lo è. Verso metà film, sappiamo cosa è reale, e la rama va già dritta spedita in maniera canonica. Al regista interessa proprio mostrare e indagare la realtà, nella sua forma più acida, allucinogena ma al tempo stesso vera e dura possibile.
Il film funziona dall’inizio alla fine perché riesce nel suo primo obiettivo, essere inquietante. E davvero, più che il dubbio o i fantasmi della mente, non c’è nulla di più inquietante e pericolo della nostra quotidiana realtà.
Soderbergh così, sotto le spoglie del thriller da manicomio tipico dei B movies dei decenni passati, appunto, indaga su due agghiaccianti filoni paralleli. Da un lato, quanto è diffuso il malaffare nei centri di cura di sanità mentale. Come questi luoghi, invece di curare o quantomeno alleviare problemi, con i loro metodi oppressivi accentuino lo status malato dei loro pazienti. Dall’altro lato, soprattutto, quanto lo stalking diventi un fatto irreversibile nel quotidiano delle vittime. Gli effetti su una persona vittima di attenzioni eccessive e non desiderate non sono quantificabili, e vanno oltre l’immaginabile fino ad abbattere la serenità mentale.
In tale riuscita aiuta molto avere a disposizione un’attrice brava come Claire Foy. La lanciatissima ragazza inglese sa essere, con quel volto acqua e sapone, credibile in ogni sfumatura di una personalità sottoposta a stress emozionale.
I temi descritti Unsane li tratta con intelligenza e attenzione, ma non appesantiscono la narrazione. Il film rimane, in tutta la sua durata, un godibile thriller che mette a disagio pur intrattenendo. Insomma, è un tipo di cinema che sa essere ugualmente da popcorn, sperimentale e serio. Forse, proprio per questo, un tipo di film che solo Steven Soderbergh poteva pensare e poi realizzare. Solo un autore immensamente trasversale che non si prende mai sul serio pur essendo, molto probabilmente, tra i più seri e capaci. Un autore che non pretende e non vuole rivoluzionare il cinema con i suoi film, ma mentre si vedono sembra sempre di assistere a qualcosa di assolutamente unico.
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Emanuele D’Aniello
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