A Venezia 2019 è sbarcato The King, trasposizione moderna dell’Enrico V shakespeariano ora in streaming su Netflix.
Alla 76esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Netflix è arrivata preparata (tra fautori e detrattori). La piattaforma americana ha infatti portato nella laguna ben tre pellicole: The Laundromat di Steven Soderbergh, Marriage Story di Noah Baumbach e The King di David Michôd. Quest’ultimo è una rivisitazione (estremamente libera) dell’Enrico V di Shakespeare, interpretato da un sempre più in gamba Timothée Chalamet.
Il film è uscito in streaming il 1 novembre e racconta dell’investitura e dei primi passi di Hal, primogenito reietto e disinteressato del trono. Il giovane Principe del Galles, figlio del malato Enrico IV d’Inghilterra (Ben Mendelsohn), trascorre le sue giornate ubriacandosi e andando a letto con prostitute. E’ consapevole che i giochi di palazzo e la corona non fanno per lui ancor prima che il padre lo convochi per comunicargli che sarà il fratello minore, Thomas (Dean-Charles Chapman), ad essere dichiarato erede. Thomas però cadrà giovanissimo in battaglia, vittima dell’esigenza di nutrire un ego frutto dei peccati dei padri. In questo modo Hal finisce per essere incoronato Re Enrico V nel bel mezzo della sanguinosa Guerra dei Cent’Anni.
La messa in relazione, scivolosa, dell’eredità genitoriale e della responsabilità che ricade sulle spalle dei figli è perno di tutta la pellicola. E’ su questo nucleo che Michôd e Joel Edgerton (nei panni del fido Falstaff), anche sceneggiatori, plasmano con sapienza lo spigoloso, acerbo ma retto, Enrico V di Chalamet. Azzeccata l’intuizione di rendere subito chiaro come non ci si possa esimere dal confronto con il fardello delle scellerate azioni di chi è venuto prima. Soprattutto non quando si è re e quindi quando l’orgoglio personale è incarnazione della gloria di un’intera nazione. Le gesta dei padri potranno anche non qualificare il singolo, condizionano però un continuum nel quale il singolo ricade.
Il pallido, smunto Hal è l’anti-re per eccellenza, dedito alla frivolezza non con ingenuità ma con piena coscienza di voler rigettare quel triangolo letale di eredità/orgoglio/dovere.
Esattamente per questo, nel momento in cui la corona chiama, Hal non si tira indietro, perché il dovere lo conosce e sa che quel simbolo è al di là di lui. Il re è solo un portatore, saggio o folle che sia, ma pur sempre un araldo. La notevolezza di The King è nel rendere costante e centrale la figura di questa istituzione sacra attentata ad ogni fianco dall’ambizione personale. La purezza di Enrico V, perennemente senza corona, è posta in contrasto con le viperine ombre della corte, tra clero incensato e lord affamati. Ma soprattutto è messa in discussione nella persona di Hal, vergine delle trame di palazzo e del porre in equilibrio pulsioni e raziocinio.
Il film dura molto, ben 140 minuti, e si prende i suoi rischi nel mantenere un ritmo compassato e anti-spettacolare, anche durante gli scontri (pochi) ad arma bianca, lenti e goffi. Michôd svuota la pellicola della pura enfasi emozionale (il picco è in un discorso di Hal ad Azincourt), sfiorando in alcuni momenti un’eccessiva staticità. In The King però c’è tutto quello che deve esserci: intrigo, potere, assedi, sentimento. E questo tutto trova risoluzione nel fango e nella melma, reale campo di battaglia che impantana quei pesanti corpi in armatura. Si avverte il perenne ingombro di una fisicità (umanità) che vizia e rende concrete non solo le membra durante le schermaglie, ma soprattutto le dinamiche a corte.
Stupisce che le sequenze conclusive di The King diano, in controtendenza al ritmo generale, l’impressione di essere troppo sbrigative nell’incastonare i tasselli conclusivi del percorso formativo di Hal. Queste ultime battute rimangono comunque funzionali nell’economia di un film ottimamente trasposto nella rivisitazione di un Enrico V moderno e fruibile anche ai tempi dello streaming digitale.
Alessio Zuccari