Il primo problema nel fare Pinocchio come film ancora oggi, alla vigilia del 2020, risiede nella decisione stessa di realizzarlo. Insomma, perché farlo ancora? Lo abbiamo visto così tante volte, in così tante versioni, che nulla è più rimasto da fare.
Né per gli spettatori, che oramai si aspettano ogni evento e lo vivono con meno trasporto. Né, onestamente, per un autore, che si trova schiacciato dai numerosi adattamenti precedenti.
Il secondo, più evidente, problema del film, è che Pinocchio non dà risposta a questi quesiti. Matteo Garrone lo realizza e basta perché voleva farlo da anni. Non ha trovato un vero motivo, un vero senso cinematografico per realizzarlo: lo ha fatto e basta.
E questo è ciò che il Pinocchio di Garrone realmente è: un qualcosa che accade e basta. Recupera la fedeltà al testo originale di Collodi, ma perde per strada ogni senso didattico, ogni elemento di meraviglia, ogni sviluppo di fantasia. In poche parole, è come assistere a un greatest hits delle avventure di Pinocchio senza il benché minimo trasporto emotivo. Qui, paradossalmente, il film è originale: non solo è poco commerciale, ma soprattutto non si è mai vista una versione di Pinocchio così fredda.
Personalmente, diffido sempre da chi, per un film italiano, esalta i reparti tecnici per dire “una cosa così in Italia non si vede mai”. E sia chiaro, è verissimo, ed è giustissimo esaltarne la qualità. I costumi, il trucco, gli effetti visivi, in questo Pinocchio tutto è eccellente, tutto è la riprova che l’artigianato cinematografico italiano è di primissima qualità e troppo poco sfruttato dai nostri film ripiegati su formule e quasi mai creativi. Però non può mai essere l’unica nota di attenzione, l’unica qualità da sottolineare. Come secondo me già accaduto con Il Racconto dei Racconti, bellissimo vedere ma tremendamente vuoto da vivere, Garrone quando sceglie di realizzare il “fantasy” si abbandona alla cura dell’aspetto formale e lascia il resto da parte.
Fantasy che come noterete ho scritto tra virgolette, perché a essere onesti questo Pinocchio è un film che latita di fantasia.
Tornare al testo originale di Collodi per recuperare anche il contorno ambientale va bene, ma lo spirito politico e sociale è solo abbozzato. Curare l’aspetto formale va benissimo, ma il senso di meraviglia dovrebbe avere un impatto sensoriale e visuale. Caratterizzare Geppetto è cosa buona e giusta, soprattutto con un Roberto Benigni così perfetto e tenero, indubbiamente l’elemento migliore del film, ma il rapporto tra lui e Pinocchio non è mai approfondito emotivamente. E glissare così tanto su elementi da tutti conosciuti, come le bugie e il naso, forse perché oramai abusatissimi, alla fine sembrano solo atti di superficialità e non una scelta coraggiosa.
Sono molto felice che Garrone, uno dei migliori registi italiani, abbia finalmente realizzato il suo sogno di realizzare Pinocchio al cinema. Sarei però altrettanto felice se tale soddisfazione lo distogliesse finalmente dal fantasy che, ritengo, non sia il suo campo di gioco.
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Emanuele D’Aniello
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