“Cosa siete voi?
“Noi siamo americani”
Voglio partire da questa frase, dall’allegoria dietro e dentro Noi. Sì, voglio annoiare anche voi amanti dell’horror con le allegorie e le metafore sociali. Voglio e, più che altro, devo farlo, sia perché ritengo quella singola e breve frase fondamentale per capire il film, sia perché parlare di Noi è quasi impossibile senza cadere in spoiler o rivelazioni che rovinino il godimento dello spettatore, quindi devo dribblare il rischio.
E poi perché, ammettiamolo, Jordan Peele alla sua opera seconda avrà pur voluto fare un horror genuino, ma per lui è impossibile abbandonare i temi sociali di partenza. Lo ha fatto con Scappa – Get Out, il suo esordio divenuto un cult istantaneo, lo fa ancora con Noi, perché questa è la sua poetica. Fare genere, ma farlo solo se si ha qualcosa da dire di profondo e autentico, non farlo solo per intrattenere qualcuno mentre mangia popcorn.
La sua intenzione è chiara fin dal titolo, dopotutto: Noi è la traduzione letterale del titolo Us che, volendo, possiamo leggere anche come la sigla di United States. I protagonisti del film siamo noi, persone comuni, e in particolar modo gli americani, così come accadeva in Scappa – Get Out, appunto.
Ed esattamente come nel suo primo film il bersaglio non è quello più facile e scontato, ma quello più profondo e sentito.
La paura è il barometro più diffuso, e più sfruttato, del mondo contemporaneo nel quale viviamo. La paura che qualcuno, specialmente il diverso, lo straniero, lo sconosciuto, possa entrare in casa nostra, ovvero nella nostra società, nel nostro cerchio. L’odio è la quasi matematica conseguenza della paura, ed è l’arma più potente adesso. Jordan Peele, con estremo acume, sfrutta l’abusatissimo – in qualsiasi medium artistico – tema del doppio per mostrare come dobbiamo avere paura di noi stessi, semmai. Chi entra nella “nostra casa” (o invade, per usare un termine più topico) è una persona identica a noi, non diversa. Al tempo stesso, non sono gli altri a creare odio e paura, ma sempre noi stessi, chiudendoci e rintanandoci nei nostri fortini materiali e mentali.
La doppia allegoria di Noi è universale, valida ovunque considerando l’attualità che viviamo. Ma la chiave di lettura assume una matrice maggiormente americana, come detto in partenza, quando esplora anche un altro tema: il privilegio. Partendo dal mito illusorio della presidenza Reagan, fino ad arrivare all’America dei giorni nostri ricca di divisioni e tensioni, Peele esplora una società fratturata, chiusa a riccio, nella quale chi ha tutto teme che chi ha niente (i doppi che escono dalle fogne) possa portargli via la ricchezza. Precisamente, più che la ricchezza materiale, il posto in pole position nella società. Invece di ridistribuire, la paura alimenta la divisione: i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più disperati.
Probabilmente il discorso sulle tensioni sociali odierne è la parte più angosciante di Noi, ed è dire tanto considerando che parliamo di un horror in piena regola.
Jordan Peele infatti, da amante del genere, segue pienamente lo schema di tali film, e suo primario interesse è spaventare lo spettatore (se con salti dalla sedia o con riflessioni quotidiane è soggettivo). Il film costruisce tensione e inquietudine, non disdegna i più classici jump scare, e indugia nel sanguinolento appena ne ha l’occasione. Tutto ciò contribuisce ad una visione divertente e assolutamente avvincente.
In pratica, Peele ha seguito lo schema opposto al suo esordio. Se con Scappa – Get Out si partiva dai cliché del genere per costruire la satira sociale, ora con Noi si parte invece dalla riflessione tematica per arrivare all’horror di genere puro. Peele stavolta, come capita spesso con l’ambizione delle opere seconde, raddoppia la dose di paura e divertimento rispetto all’esordio.
Forse, proprio per questo, Noi fatica un po’ ad arrivare al traguardo. La lunghezza delle due ore piene si avverte nel terzo atto, e quando il film aveva ormai detto, efficacemente, tutto ciò che poteva dire, decide invece di dire ancora qualcosa dando spiegazioni e motivi laddove non necessario, finendo per creare più interrogativi, spesso inutili, che a ritroso il film non può sostenere.
E anche per questo però, paradossalmente, Noi vince la sua sfida. Perché, manifestando le congenite problematiche dell’opera seconda, nella quale l’autore ha la pressione e l’ambizione di confermare il talento dell’esordio, trasuda tutta la voglia di Peele di dire qualcosa, anzi, comunicare qualcosa di molto specifico. In Peele è palese l’urgenza, la voglia e l’energia di indagare, di raccontare facendo cinema, di trasportare gli spettatori nel suo malessere di cittadino del mondo attuale. Per fare ciò non serve la forma perfetta, ma la sostanza intrisa di talento e coraggio, qualità che il cinema di Peele ha da vendere.
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Emanuele D’Aniello
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