di Valeria Martalò
Get Out, la pellicola di Jordan Peele, al suo debutto dietro la macchina da presa, riesce a far sorridere e riflettere lo spettatore, in un horror atipico.
“È la storia dei neri… in America! Cazzo, ma voi neanche sapete di essere neri. Credete di essere persone normali. Lasciate che sia io il primo a dirvi che siete tutti dei neri. Nel momento in cui quegli olandesi bastardi hanno messo piede qui e hanno deciso di essere bianchi, voi siete diventati i neri.
E, fidatevi, è il nome più gentile con cui vi chiamano.
Lasciate che vi descriva… che cosa vi aspetta sulla terraferma. Arriverete in America, terra dell’opportunità, della cuccagna, e indovinate un po’? Diventerete tutti schiavi. Sarete divisi, venduti e messi a lavorare fino alla morte.
L’unica buona notizia è che il tabacco che i vostri nipoti coltiveranno per un nonnulla causerà il cancro a un casino di quei figli di puttana bianchi. E questo è solo l’inizio. Dopo cent’anni dalla vostra liberazione, continuerete a prenderla nel culo sul lavoro, mentre la polizia vi userà come bersaglio“.
Queste le parole con cui Anansi, il dio ingannatore di American Gods, ammonisce i suoi fratelli neri che stanno per essere venduti come schiavi; siamo nel 1696, ma il destino dei neri d’America non sembra essere molto cambiato da allora.
È l’impressione che si ha vedendo Scappa – Get Out, il thriller/horror di Jordan Peele, con protagonisti Chris/Daniel Kaluuya (di Black Mirror –15 million merits) e Rose/Allison Williams (di Girls). I due formano una giovane coppia multirazziale, cosa che nel 2017 non sembrerebbe costituire un problema. E invece. I genitori di Rose sembrano a prima vista affabili e ospitali, ma nel loro comportamento c’è sempre una nota stonata. Il padre di Rose parla come un progressista, ma ha due domestici neri. E le stranezze non finiscono qui. Man mano che Chris comincerà a conoscere meglio la famiglia di Rose, scoprirà che dei terribili segreti coinvolgono tutto il vicinato di ricchi e bianchi amici dei suoi quasi suoceri.
Senza dire nulla sul finale, è evidente l’intento di mettere in luce il problema razziale, ancora molto sentito in America. Basti pensare a libri come quello di Angie Thomas (The hate u give), e film come The Help e Selma, che dimostrano come il tema sia ancora sentito e molto vivo, almeno in alcune zone degli Stati Uniti.
Get Out è stato un vero e proprio successo al botteghino: a fronte di un budget stimato in 4 milioni e mezzo di dollari, ne ha incassati 173 milioni nei soli Stati Uniti, e 30 milioni nel resto del mondo. Con qualche punta umoristica e delle scene poco credibili, Get out riesce comunque a lasciare qualcosa nello spettatore, a far riflettere su cosa significhi, oggi, essere neri e come, molto spesso, la società sia ipocrita e pieni di buoni sentimenti, che nella pratica non trovano alcun fondamento.
di Emanuele D’Aniello
A pensarci bene, Get Out è davvero un film semplicissimo.
Sulla carta, è un thriller/horror dalla struttura convenzionale. In pratica anche, segue una narrativa assolutamente lineare, colpi di scena e risoluzione compresa. Cosa è quindi che fa fare il salto il qualità al film del debuttante Jordan Peele?
La tematica razziale, ovviamente, come già sottolineato benissimo in precedenza. Ma non solo, naturalmente.
E’ soprattutto il come Peele decide di analizzare il tema e la vicenda. Perché Get Out, sotto la forma della perfetta allegoria sul razzismo, è un’acutissima satira sociale rivolta ai benpensanti. E la struttura semplice e lineare, appunto, serve per raccontare la storia efficacemente, senza che gli spettatori possano distrarsi. Senza far finta, in altre parole, di non capire i problemi che gli vengono mostrati davanti agli occhi.
Se infatti, cinematograficamente parlando, potremmo vedere il film come un curioso incrocio tra Indovina Chi Viene a Cena? e La Fabbrica delle Mogli, in realtà Peele riadatta ai giorni nostri, o meglio alle tematiche più delicate della realtà attuale americana, le metafore di L’Invasione degli Ultracorpi, facendone quasi un remake apocrifo.
Ma il vero colpo di genio di Peele è proprio il bersaglio della sua graffiante satira.
Quante volte avete sentito persone, magari anche conoscenti, dire la fastidiosa frase “io non sono razzista, ma…”. Ecco, quel ma fa tutta la differenza del mondo, di solito. Oltre a confermare che in realtà, sotto sotto, chi lo dice è involontariamente razzista. Get Out colpisce non i classici bifolchi americani, non i più tipici stereotipi dei razzisti, sarebbe troppo facile, semmai le classi agiate e più integrate, i cosiddetti Liberals americani, coloro che hanno votato Obama e sono bravissimi a parole, ma poi concretamente fanno pochissimo per impedire il perpetuarsi di una stato di perenne discriminazione.
E’ difficile non spoilerare Get Out (evitate i trailer), ma l’efficacia del film lavora su più livelli e anche, o forse soprattutto, dopo aver scoperto i vari colpi di scena. Nonostante qualche didascalia di troppo, specialmente nel finale, il film diverte, spaventa e fa riflettere, ideale per le nuove generazioni. Per ovvi motivi funzionerà meno in Italia che non in patria, come ha testimoniato l’impressionante box office, ma non vuol che anche noi non possiamo goderci l’affermazione di una nuova interessantissima voce cinematografica.