Molto fumo e poca carne con Il Sacrificio del Cervo Sacro

Il Sacrificio del cervo sacro

È sempre facile, ma anche non correttissimo, giudicare un film in base a quello che non è, rispetto a ciò che è. Ma possiamo anche non essere corretti a tutti i costi, se Lanthimos non è corretto in primis.

Se lui ci ingolosisce con un tipo di cinema, con tanti richiami anche alti, e poi ci offre altro. Possiamo essere cattivi alunni se il maestro ci presenta una lezione così così. E se Yorgos Lanthimos sguazza nella perversione di divertirsi col sadismo spicciolo, allora noi ci sentiamo per una volta autorizzati a lasciarci andare alla perversione etica e scorretta di giudicare il film in base alle aspettative e ciò che poteva essere.

Sicuramente poteva essere un buon film Il Sacrificio del Cervo Sacro, partiamo dalle cose facili, come detto. Ma, appunto, non lo è.

Non lo è non per chissà quale problematica o difetto di così oscura lettura. Semplicemente non lo è perché Lanthimos si è divertito a martoriare gli spettatori ed il suo stesso approccio cinematografico. Si è fatto conoscere come un Von Trier greco con l’incredibile Dogtooth. Si è imposto come moderno Buñuel con l’anticonvenzionale The Lobster. E qui, avvicinandosi al nume tutelare di Haneke, ha smarrito goffamente la via. Anzi, per usare i miti della sua terra, nel suo labirinto non è riuscito a seguire il filo di Arianna.

Perché un filo da seguire, una canonica ancora di salvezza, c’era e c’è sempre. Quell’ironia grottesca e graffiante, nascosta in Dogtooth e architrave in The Lobster, che ci fa davvero credere a ciò che vediamo. Ce lo fa vivere, perché lo umanizza e rende normale, accettabile persino il surreale.

Qui no, niente. Zero totale. Non si scherza in Il Sacrificio del Cervo Sacro, si è tutti seri, è tutto serio, serissimo, serioso. Lanthimos in realtà si diverte, perché con la storia di un necessario impensabile sacrificio che parte da Ifigenia e arriva a La Scelta di Sophie, passando per Abramo e Isacco, il regista greco vuole soltanto provocarci e metterci il più a disagio possibile.

Una scelta innaturale è al centro di Il Sacrificio del Cervo Sacro. Una scelta dolorosa, terribile, per cui nell’ipotetica immedesimazione dovremo struggerci, spaventarci, torturarci. Provare empatia insomma, la chiave di tutta l’arte. L’approccio di Lanthimos invece, così freddo, gelido, così volutamente asettico e respingente, non ci permette mai di provare un briciolo d’empatia. Gli attori, fatti recitare in maniera robotica, chiusa, inumana, sembrano davvero attori (se non pezzi di legno) che recitano e non personaggi grazie ai quali riusciamo a sospendere l’incredulità per due ore.

Se non c’è empatia, un film che si basa totalmente su una scelta emotiva, il cui punto d’approdo è il momento di massimo struggimento interiore, è un film morto. L’interiore non può mai improvvisamente sostituire l’esteriore se non è stato costruito.

Inquieta Il Sacrificio del Cervo Sacro, indubbiamente, ma non mette mai veramente a disagio perché non stacchiamo mai la mente. Ci accorgiamo di vedere un film, realizziamo di sentire attori che recitano, notiamo un regista che segue un canovaccio.

Se fossimo a scuola, diremmo che Lanthimos “è bravo ma non si applica”. Si impegna a far vedere quanto sia capace, sicuramente, ma quello lo avevamo già capito. Semmai, è Lanthimos a dover capire che la confezione, e la premessa, non bastano per essere davvero coraggiosi, sollevare qualcosa, lasciare qualcosa. Il suo Il Sacrificio del Cervo Sacro è un film sterile, e forse è la cosa peggiore per un film.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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