Con i personaggi di Matthias e Maxime, Xavier Dolan torna a indagare la precarietà identitaria attraverso quella sentimentale. Ma con diverse pecche.
Matthias (Gabriel D’Almeida Freitas) e Maxime (Xavier Dolan) sono amici sin dall’infanzia, sebbene non potrebbero essere più diversi: il primo ha una forte personalità ed è così sicuro di sé da arrivare persino a imbeccare gli amici mentre parlano. Il secondo ha un vistoso angioma sul viso e trova nella prospettiva di trasferirsi in Australia la soluzione alla sua complicata situazione familiare.
Le famiglie di Matthias e Maxime
Matthias è figlio di genitori separati ma la buona posizione del padre lo ha agevolato nella carriera. La madre (Micheline Bernard) è molto accudente, forse fin troppo. È fidanzato con la bella Sarah (Marilyn Castonguay) e per lui c’è una promozione in arrivo. Maxime, invece, fa il barman e si occupa della madre in disintossicazione dopo che il padre e il fratello sono andati a vivere altrove.
Gli amici di Matthias e Maxime
Un gruppo di giovani sulla soglia dell’età adulta ma che continua a evitare di varcarla. Ci si riunisce per stare insieme, ubriacarsi, fumare e dare sfogo al lato più infantile. Durante un week-end nella bella casa in campagna di Rivette (Pier-Luc Funk), la sua petulante sorella minore (Camille Felton) ha come compito il realizzare un cortometraggio sperimentale. Qui scopre che i due ragazzi che avevano promesso di girarne una scena le han dato buca. Chiede, dunque, se qualcuno ha voglia di sostituirli. Maxime accetta volentieri, Matthias è costretto a farlo a causa di una scommessa persa. Solo dopo verranno a sapere che lo script contiene la scena di un bacio, che scatenerà in loro una profonda crisi poco prima che uno dei due si trasferisca dall’altra parte del mondo.

Cosa funziona
La figura di Maxime, interpretata con grandissima sensibilità da Xavier Dolan, è meravigliosamente tratteggiata. Anche fisicamente: l’angioma che ne caratterizza l’esteriorità diventa una sorta di segno visibile di ciò che lo agita dentro. Le scene corali che, con poche pennellate, disegnano efficacemente lo scontro generazionale tra giovani ancora dediti a passatempi infantili ma, tutto sommato, godibili e giovanissimi ossessionati da una contemporaneità istantanea che li spinge a utilizzare inutili anglicismi, specie in un contesto come quello quebecchese.
Cosa non funziona
La prova di Gabriel D’Almeida Freitas è assolutamente inadeguata: la sua recitazione legnosa non trasmette quel senso di disagio e dissidio interiore che Matthias dovrebbe trasmettere. Sembra, piuttosto, di guardare chi si sforza di fare la parte dell’imbarazzato, dell’infastidito, del combattuto. Questo spezza più volte l’incanto delle scene più riuscite e lo rende l’anello debole di un cast che, invece, eccelle. Specie per quanto riguarda i personaggi minori, su tutti le due significative figure materne. Va detto, però, che la sceneggiatura, anch’essa firmata da Dolan, non aiuta: alcuni avvenimenti e dialoghi sembrano ideati per far da puntello a uno svolgimento traballante mentre certi passaggi risultano quasi un libretto d’istruzione alla comprensione dei personaggi.
L’inevitabile paragone con Elio e Oliver
Matthias e Maxime, come Elio e Oliver in Chiamami col tuo nome, vengono irresistibilmente attratti l’uno verso l’altro in un’altalena di ambivalenza che alla fine esploderà travolgendoli. Nel film di Xavier Dolan l’aggravante di un’amicizia che risale all’infanzia, commoventemente evocata da un disegno dai tempi delle elementari fatto da Matthias che li raffigura insieme, gioca ovviamente un ruolo chiave nella difficoltà per i due giovani di accettare ciò che gli accade loro malgrado. Il regista, del resto, ha espresso pareri entusiastici sul film di Guadagnino e, a mezzo stampa, ha fatto una lunga chiacchierata con Timothée Chalamet eloggiando sia la storia sia diversi aspetti tecnici del film. Sottolineando come, a suo avviso, si tratti di una storia innanzitutto di dolore. Ecco: l’ultimo film Dolan insiste eccessivamente su questa sfera, tralasciando le altre sfumature a cui un sentimento così inaspettato espone. Stupisce, inoltre, che pur lodando l’interpretazione straordinaria del giovanissimo attore newyorkese, che insieme al collega Armie Hammer appare di una incredibile naturalezza specie nelle scene di intimità tanto più quotidiana quanto più complessa da rendere, non sia poi riuscito a reclutare un coprotagonista ugualmente capace.
Perché vale la pena vederlo
Al netto delle pecche evidenziate e di certe ingenuità narrative, Matthias & Maxime ha la sua forza nel modo in cui espande il tema della precarietà a ogni ambito. Partendo da quella sentimentale, Xavier Dolan allarga il campo a quella identitaria, lavorativa, affettiva. C’è un’urgenza autentica che traspare persino dagli errori, tipici di chi è troppo coinvolto in un progetto per riuscire a valutarne oggettivamente ogni aspetto. Peccato in questo caso si tratti contemporaneamente dell’autore, sceneggiatore, regista, montatore, coproduttore e coprotagonista. Quello che auguriamo al giovane artista canadese è che mantenga questo slancio sincero, imparando a delegare dove serve.
Cristian Pandolfino
Credits foto in evidenza: Matthias & Maxime – Shayne Laverdiere