Disponibile da qualche giorno su Netflix, Fractured è una nuova produzione originale della piattaforma di streaming.
Fractured è un thriller psicologico che non si allontana dal sentiero seminale di pellicole come Shutter Island di Martin Scorsese o del più recente La cura del benessere, il film si dimostra timoroso nell’osare imboccare un proprio cammino. Alla regia troviamo Brad Anderson, regista che tre lustri fa ci aveva regalato L’uomo senza sonno. Perché se il feeling generale sembra essere quello giusto, distorto alla radice e dalla costante presenza di una devianza percettiva, allo stesso tempo i tasselli del puzzle vengono disseminati in modo grossolano e anche abbastanza pigro.
Facciamo un passo indietro. Al rientro dal pranzo del Ringraziamento, Ray (Sam Worthington) e la sua famiglia si fermano a una stazione di rifornimento. Mentre la moglie Joanne (Lily Rabe) fa una sosta al bagno, la piccola Perry (Lucy Capri) cade e si frattura un braccio. Da qui una corsa forsennata al più vicino pronto soccorso per le medicazioni. Nell’ospedale Ray si ritroverà al centro di un presunto rapimento che sembra aver risucchiato la sua famiglia nelle viscere dell’edificio. Fractured elabora la sua struttura sui duelli psicologici tra un padre disperato e gli apparentemente omertosi e criminali operatori della struttura.
Ma il conflitto, forse, sarà soprattuto quello interiore, tra demoni del passato e quelli del presente.
È interessante evidenziare subito come all’interno di pellicole come questa l’unico spazio possibile del racconto sembra essere quello di un ospedale o di un sanatorio. In questi istituti, simulacri del dubbio mentale messo in scena, è da rintracciare il primo input di ciò che il film vuole con decisione manifestare di essere. E, a lungo andare, il palesarsi di uno schema che non è in grado di smarcarsi dei suoi modelli ideali. Difatti, la problematica che affligge Fractured sin dall’inizio è l’artificioso disseminare la narrazione di briciole da raccogliere. I segnali lanciati sono troppi e troppo insistenti, finendo per minare al rovescio l’impianto psicologico.
Il microcosmo dell’ospedale che ruota attorno a un disorientato Ray (fa piacere notare un Worthington, su Netflix anche in The Titan, quantomeno conscio del ruolo dopo gli ultimi disastrosi anni), nella sua azzeccata atmosfera, non fa poi molto nel tentativo di instillare un dubbio alla radice. I cambi di passo sono repentini e ben visibili, le carte rovesciate frequenti ma quelle tarocche si riconoscono facilmente. Infatti l’intero film viaggia su di una superficie che si accontenta di solleticare la fantasia dello spettatore, senza davvero riuscire a metterne in moto gli ingranaggi inquisitori. L’impianto scenico è sicuramente ben allestito nel sospendere i personaggi in un limbo dimensionale, ma orchestrato in modo blando nella sua volontà di creare percorsi paralleli e trappole. Le stesse sequenze finali vibrano più sulla speranza che qualcosa di alternativo al canone possa accadere piuttosto che sulle domande poste dal racconto.
È un film thriller da vedere?
Fractured non è un brutto film (su Netflix abbiamo visto di peggio), ma non si dimostra nemmeno interessato ad andare oltre il mero compito di thriller serale. Che sia un bene, oppure un male, sta a voi deciderlo.
Alessio Zuccari