Titolo originale: I due marescialli
Regista: Sergio Corbucci
Sceneggiatura: Sandro Continenza, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi
Cast principale: Totò, Vittorio De Sica, Gianni Agus
Nazione: Italia
Anno: 1961
Nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, un evento sconvolge l’Italia: l’armistizio dell’8 Settembre. È proprio nel pieno dello scompiglio generale che il regista Sergio Corbucci, ne I due marescialli, si appropria degli strumenti della commedia per raccontare la tragicità dell’inizio della guerra civile in Italia.
Siamo nella stazione ferroviaria di Scalitto, dove il maresciallo Vittorio Capone (Vittorio De Sica) è costretto a fermarsi a causa dell’interruzione della linea ferroviaria. Qui rincontra una sua vecchia conoscenza, il ladruncolo latitante Antonio Capurro (Totò). Dopo tante difficoltà, Capone è deciso ad arrestare Capurro e porre definitivamente fine ai suoi misfatti, quando un bombardamento costringe tutti a terra. Capurro non solo riesce a scappare, ma prende gli abiti del maresciallo e lasciare al povero mal capitato il travestimento da sacerdote che al momento stava usando per i suoi furtarelli.
Per il povero Antonio, però, le cose si metteranno male. La firma dell’armistizio e la fuga del Re e del Maresciallo Badoglio hanno gettato il Paese in mano ai tedeschi, i quali, in collaborazione con i fascisti rimasti fedeli al Duce, ordinano la condanna a morte di tutti i carabinieri (fedeli alla corona). Il ladro-maresciallo dovrà pertanto barcamenarsi in questa situazione nel tentativo di portare a casa la pelle.
Siamo subito catapultati all’interno della commedia più pura. L’inversione delle parti, il capovolgimento, l’equivoco sono solo ad una prima lettura strumenti prestati all’arte del riso e del genere tout court. Quando parliamo dell’8 settembre, prima ancora dell’invasione nazista e prima dello sbarco degli alleati, parliamo di una guerra civile che coinvolge la penisola. Tale guerra vedrà contrapposti partigiani e fascisti. Il governo ha abbandonato la nave, il Re è fuggito a Brindisi e nulla è rimasto che possa garantire la legalità.
Il bombardamento alla stazione di Scalitto metaforicamente simboleggia l’interruzione dello stato di diritto. È l’inizio di un mondo alla rovescia.
Un mondo rovesciato, dove, quindi, i ruoli si scambiano.
La commedia, in tutta la sua forza comunicativa, entra e si impone proprio perché diventa espressione di una drammatica realtà storica.
C’è dell’antifascimo, chiaramente, ma il film non è un elogio della realtà partigiana. Manca la retorica, manca la magnificenza di un movimento considerato la forza della resistenza italiana. Manca però perché non è questo che interessa al regista.
Sergio Corbucci rappresenta con questa pellicola la medietà dell’italiano, mettendone in mostra tutta la sua banalità.
Prendiamo ad esempio la scena in cui Totò legge la lettera del farmacista e la interpreta come un messaggio criptato. Oppure quella in cui il tedesco sbaglia continuamente la coniugazione dei verbi durante un discorso fatto al popolo di Scalitto. Pensiamo anche al gioco di parole sul verbo “sposare” fatto da De Sica e Totò per confondere il podestà del paese.
Tutti i personaggi sono delle caricature connotate da caratteristiche peculiari ripetutamente messe in evidenza. Primo tra tutti è il podestà che ripete, anche senza evidente necessità, l’espressione “senz’altro!”. Questi tipi attraverso i loro modi di fare, le loro espressioni contribuiscono a dipingere un quadro.
Le battute sono le pennelate di colore, i tic dei personaggi la sfumatura che accentua ogni passaggio.
Gli stessi De Sica e Totò sono a loro modo dei personaggi. C’è solo un momento in cui Totò si apre ed esce dalla maschera che ha indossato. La confessione della sua medietà, dell’incapacità di scegliere di essere un “deliquente vero”, ma di restare sempre dalla parte dei vigliacchi, di quelli che compiono piccoli reati accontentantosi di sopravvivere.
Tra essere ladri e assassini c’è una differenza, dice Totò a De Dica. E secondo me in questo passaggio è il regista che parla.
L’uomo inetto, medio, incapace di prendere posizione e di imporsi sugli eventi. Capurro-Totò rappresenta un po’ tutta l’Italia. Con il suo tentativo di riscatto attraverso l’accettazione della condanna a morte, intravediamo un tentivo di redenzione.
Come ogni commedia, non può mancare il lieto fine. Il cerchio viene chiuso e i due personaggi si ritrovano nella medesima situazione che li ha fatti incontrare.
La legge è stata ripristinata, la monarchia è caduta e ormai da vent’anni è stata creata la Repubblica. Ognuno è tornato a ricoprire il proprio ruolo. Ma è proprio questo che fa sorgere un dubbio: è davvero tutto cambiato?
Tre motivi per vedere il film:
- La scena della lettura della lettera del farmacista;
- La scena dell’equivoco/gioco di parole sul verbo “sposare”;
- È un film divertente e allo stesso tempo estremamente profondo;
Quando vedere il film:
Una sera in cui avete voglia di ridere ma vi sentite stanchi delle solite commedie romantiche e/o volete disintossicarvi per un momento da Netflix.
Vi ricordo qui di seguito il precedente appuntamento con il nostro cineforum:
“Fa’ la cosa Giusta” uno spaccato di realtà firmato Spike Lee
Serena Vissani