Non c’è nulla di male a fare film didattici, educativi. Roberto Rossellini ci ha costruito tutta la parte finale di carriera. E poi sono tempi preoccupanti, compito del cinema è anche quello di parlare alle coscienze. Ma essere didattici non vuol dire essere didascalici.
Questo è il peccato maggiore di Boy Erased. Tratto da una storia vera, è l’ennesimo ritratto di un’America chiusa e bigotta nella quale la scoperta dell’omosessualità viene tratta come una malattia da estirpare. Non è, in tal senso, il primo film a mostrare i famigerati centri di “terapia per conversione”, ma forse uno di quelli che più si piegano alla necessità del messaggio, e non della storia.
Il problema di Boy Erased non è solo la sua spinta melodrammatica, che il film sottolinea a più riprese con accorati dialoghi o improvvisi rallenty di rara bruttezza. Il problema è soprattutto la sua esasperata convenzionalità: sobrio ma al tempo stesso urlato, privo di qualsiasi caratterizzazione dei personaggi che accompagnano il percorso del protagonista, Boy Erased è un film che punta tutto al colpo emotivo senza esplorarne l’impatto, il significato, le conseguenze. Essenzialmente, è un film banale.
Duole dirlo perché, appunto, Boy Erased è un film che molti oggi dovrebbero vedere (e fa molto male dirlo). Oltretutto, è ricco di bravissimi attori.
Lucas Hedges è indubbiamente una delle future stelle del cinema. Un giovane capace di interiorizzare il dolore che prova e, senza mai alzare una note fuori posto, lasciarlo esplodere al momento giusto, col carico emotivo giusto. Nicole Kidman ha probabilmente il ruolo più ingeneroso, quello più banale e caricaturale, ma è sempre gustoso vederla recitare con passione e attenzione. Un ingrassato Russell Crowe, però, ruba la scena a tutti, recitando sempre in sottrazione, sempre sommessamente, tutte le fasi del tormento interiore.
Un tormento che è anche quello del film stesso, spesso indeciso a quale storia affidarsi. Nel conflitto tra amore e odio, giusto e sbagliato, Boy Erased evidenzia che non è il figlio a dover cambiare la propria sessualità, ma i genitori a dover cambiare il loro approccio ideologico e mentale verso di lui. Non sarebbe stato allora più giusto e interessante, mi chiedo, un film sui genitori e non sul ragazzo? Non sarebbe stato più originale, e pertanto molto più potente ed empatico, un film che invece di trattare per l’ennesima volta il tema della repressione dell’omosessualità, avesse indagato la necessità morale delle persone bigotte di aprirsi al mondo, non per moda ma per puro amore?
Le cose migliori di Boy Erased sono gli sguardi lancinanti di Lucas Hedges davanti agli occhi persi nel vuoto di Russell Crowe, quando capiamo che le scelte più deleterie all’intero di una famiglia – qualsiasi – sono spesso quelle dettate da un erroneo ed eccessivo senso di protezione. Peccato poi che il film abbia almeno altri 90/100 minuti di ovvietà, sicuramente necessarie, ma troppo scontate mostrate così.
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Emanuele D’Aniello