Blair Witch: caccia alle streghe col drone

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Nel 1999 usciva The Blair Witch Project, il found footage film che avrebbe spianato la strada a molte pellicole dell’orrore successive, come ad esempio il celebre Paranormal Activity.

Non era il primo footage, ovviamente, ma senz’altro fu il film che consacrò il genere agli occhi del pubblico e anche dei filmmakers, che si videro tra le mani un vaso di Pandora da cui si poteva estrarre ancora qualcosa per stupire.
Perché, parliamoci chiaro, viviamo in un’epoca cinematografica in cui vedere un horror soddisfacente è davvero un’impresa. Un po’ perché ormai siamo abituati a tutto, un po’ perché molto di quello che viene proposto agli amanti del genere è “minestra riscaldata”, come si suol dire.
Come giudicare dunque Blair Witch, il secondo sequel del già nominato BWP? Cast tecnico e attori sono quasi totalmente differenti dal precedente film: firma questo prodotto distribuito da Eagle Picture il regista Adam Wingard, seguito da un team di tutto rispetto. Già leggendo i nomi dei produttori (due dei quali Roy Lee di The Ring e Steven Schneider di Paranormal Activity e Insidious) uno si leccherebbe i baffi, pregustando un prodotto gustoso.
Ad essere sinceri, però, il film non è niente di che: la storia si riallaccia a BWP inserendo come protagonista James, il fratello di Heather, la ragazza che era sparita nei boschi girando il documentario sulla strega vent’anni prima. L’espediente per creare un filone logico che risulti fruibile anche a chi non ha visto BWP risulta alquanto banale: lo scopo di James, ovviamente, è capire che fine ha fatto sua sorella.

La trama scorre lenta almeno per i primi quaranta minuti: il gruppo di amici (dalla psicologia davvero poco strutturata) si addentra nei boschi incriminati (Black Hills, Maryland) scortati da una coppia di locali. Come nel precedente film inizierà un’interminabile notte, dominata dall’isteria di gruppo.
Nota positiva sono le riprese che, grazie a nuove tecniche, non fanno venire la nausea allo spettatore: stavolta i filmati sono a colori, ci sono telecamere in testa agli attori, quindi si possono ammirare più dettagli dell’inquadratura senza scatti molesti, ma soprattutto c’è un drone per osservare i boschi dall’alto. Insomma, la strega è diventata 2.0, ma la tecnologia non serve a rendere interessante una pellicola guardabile come tante altre, che fondamentalmente non lascia nulla.
Il bello di alcune opere sta proprio nella novità che regalano al pubblico: questo era stato il potere di BWP. Tentare di emularlo oggi, a mio avviso, non poteva che generare un prodotto mediocre.

Saranno gli spettatori italiani a dare il verdetto finale dal 21 settembre, quando il film arriverà nelle nostre sale, ma per il momento restiamo poco convinti.


Alessia Pizzi

Laurea in Filologia Classica con specializzazione in studi di genere a Oxford, Giornalista Pubblicista, Consulente di Digital Marketing, ma soprattutto fondatrice di CulturaMente: sito nato per passione condivisa con una squadra meravigliosa che cresce (e mi fa crescere) ogni giorno!

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