A Quiet Passion, Emily Dickinson non deve morire

A Quiet Passion recensione film emily dickinson

A pensarci bene, se la conoscete, la vita di Emily Dickinson è una delle meno cinematografiche in assoluto.

Il biopic

E onestamente A Quiet Passion, il biopic sulla grande poetessa americana, di cinematografico ha davvero pochissimo. Questa scelta è un boomerang, naturalmente. Da un lato è la più azzeccata, per trasmettere il malessere e quel senso di chiusura in cui Emily Dickinson scelte di autorelegarsi. Dall’altro lato è un flagello per lo spettatore, che si trova di fronte un cinema ormai appartenente a ere preistoriche.

Il cinema del regista Terence Davies, comunque, non è fatto per un ritmo serrato. Qualunque sia il soggetto, l’ambientazione, il protagonista, la finalità, questo è ciò che riesce meglio all’autore inglese. Un cinema fatto di momenti rarefatti e mood, serenità e naturalezza. Probabilmente è l’approccio migliore per raccontare il mondo ipocrita e vetusto nel quale Emily Dickinson è cresciuta, uno stile registico che quindi si fa esegesi di usi e costumi di un’epoca intera.

Indubbiamente A Quiet Passion sta in piedi così, coerente con la propria forma e sostanza, permettendosi qua e là iniezioni di umorismo perfettamente in linea con lo spirito della poetessa protagonista del racconto. Il problema, semmai, è l’incapacità, o forse la volontà, di non evolversi durante le due ore. Un film che sceglie di rimanere seduto, chiuso in sé stesso, trincerato nella propria bellezza estetica.

Un film anticinematografico

Esattamente come Emily Dickinson scelse, negli ultimi anni di vita, di iniziare una autentica clausura, il film si richiude a riccio nella propria natura anticinematografica.

Lungo tutta la seconda parte Davies sostituisce gli umori con estenuanti dialoghi, l’atmosfera con sentimenti melodrammatici. Sarà pure una scelta voluta per specchiarsi nel tramonto personale della protagonista, probabilmente. Ma è anche una scelta che, forse, non capisce fino in fondo Emily Dickinson, una poetessa di rottura per la sua epoca il cui indomito spirito ribelle e anticonvenzionale avrebbe meritato, appunto, un film ribelle e anticonvenzionale. Alla fine, Terence Davies invece ci offre un biopic classico, ma che più classico non si può, come da decenni il cinema di qualità non vede più.

Sembra allora un esperimento A Quiet Passion, un esperimento che fallisce laddove prova a nascere. L’aderenza parossistica al percorso della protagonista finisce per soffocare ancora di più la sua eredità. L’isolamento non è più quello della Dickinson, ma quello di un film che, pensando di capire la sua protagonista, finisce per alienare il linguaggio cinematografico. Emily Dickinson era una ribelle avanti nel suo tempo, A Quiet Passion un film congelato nel passato: a voi l’ardua sentenza.

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Emanuele D’Aniello

Emanuele DAniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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