L’Eclisse, l’ultimo capitolo della trilogia di Antonioni

l'eclisse michelangelo antonioni recensione

Piero: Mi sembra essere all’estero.
Vittoria: Pensa che strano, questa sensazione me la dai tu…
Piero: Allora non mi sposeresti?
Vittoria: Io non ho nostalgia del matrimonio.
Piero: E che c’entra la nostalgia? Non sei mica stata sposata?!
Vittoria: No, non volevo dir questo

Regista: Michelangelo Antonioni
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra, Elio Bartolini, Ottiero Ottieri
Cast: Monica Vitti, Alain Delon, Francisco Rabal, Lila Brignone, Rossan Rory
Paese: Italia
Anno: 1962

Trama

È una mattina di una calda estate quando Vittoria, travolta da un senso di inquietudine e insoddisfazione, lascia il compagno Riccardo. Un addio freddo, indolore e apatico. Sola, avvilita, segnata dalla fatica di vivere, «cerca negli altri un calore di vita, una facoltà di appassionarsi di cui essa stessa è ormai svuotata.»

Nel fare visita alla madre presso la Borsa di Roma, luogo dove la madre si reca per giocare in borsa, incontra Piero, un giovane e cinico agente di cambio. Quest’ultimo avendo saputo che Vittoria è libera, lascia subito la propria ragazza e inizia a farle la corte. Comincia una relazione, malgrado la differenza di carattere e sensibilità tra i due e l’apparente mancanza di reale coinvolgimento e interesse. Dopo pochi incontri Vittoria si concede a Piero. Nei giorni successivi i due sono felici. Una mattina, nel salutarsi, Piero le ricorda l’orario del loro appuntamento serale. “Alle 8. Solito posto”. Ma sono le ultime parole che si scambiano.

L’Eclisse conclude la trilogia ma non rappresenta la fine

L’Eclisse è l’ultimo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni, diventata poi tetralogia con l’uscita in sala, qualche anno più tardi, con il film Deserto Rosso.

Protagonista è Vittoria, interpretata dall’attrice e musa ispiratrice del regista, Monica Vitti. Una presenza scenica che cattura lo schermo catalizzando lo spettatore grazie alla sua interpretazione magistrale che ha reso questa pellicola la più bella di tutta la trilogia. Un personaggio controverso, disturbante che non teme di raccontare la natura drammatica delle donne della borghesia degli anni ’60.

A fare da sfondo il quartiere Eur di Roma, con una finestra che si apre sul famoso ristorante, il Fungo. La città eterna viene rappresentata in tutta la sua essenza: caotica e rumorosa. La classe borghese di cui Vittoria fa parte vive una profonda crisi esistenziale, anime che vagano alla ricerca di qualcosa senza mai trovarla veramente. Questa sensazione di malinconica e solitudine dell’animo umano inizia il suo percorso con gli ultimi istanti di vita di una relazione tra Vittoria e il suo compagno Riccardo. Uomini e donne colpiti da un’infelicità inappagabile. Alienati, alla deriva e sorretti da fredde architetture che sembrano sostenere la pesantezza della vita. Proprio come Vittoria che si ritrova alla fine della sua relazione sola, stanca, avvilita, disgustata, sfasata, interiormente dimagrita.

Dal contesto sociale alla storia d’amore

Indubbiamente Antonioni è uno dei cineasti che maggiormente presentano una intelligenza raffinata e sensibile. Doti ben espresse nei suoi film, in particolar modo ne L’Eclisse dove, volgendo a termine della trilogia, disincanta lo spettatore con la crudezza della realtà: non c’è spazio per i sentimenti e i personaggi sono fagocitati da una realtà sempre più esigente e desatellizzante. La pellicola non teme di assurgere a una sorta di trasposizione di un saggio di problematismo. Dove per problematismo non si intende problema ma problematico come dimensione antecedente al problema stesso per il quale non c’è all’orizzonte uno spiraglio di soluzione. Questa tendenza è ben espressa nelle parole di Vittoria quando ripete a Riccardo “non lo so, non lo so”.  

Roma, la città romantica, dell’amore, diventa sterile di sentimenti. La felicità e l’amore stesso vengono costantemente ricercati senza essere mai trovati davvero. E cosi la storia tra Vittoria e Piero, interpretato dal giovane Alain Delon, fin dall’inizio si presta a non avere una direzione. L’idea e la rappresentazione di qualcuno o qualcosa di diverso dal contesto sociale di appartenenza, in grado di colmare il vuoto, è solo un illusione che sfuma nella scena finale.

Con L’Eclisse possiamo giungere alla conclusione che per Michelangelo Antonioni le donne sono l’elemento problematico, disincantato, distaccato dal reale e completamente alla deriva. Nel tempo ma sconnesse dal presente. Vagano giorno dopo giorno alla ricerca di non si sa di cosa o di chi. Totalmente insoddisfatte, inappagate dalla vita e a vita. Un ruolo, forse pregiudizievole, ma non tanto lontano dalla borghesia del tempo. Nella difficoltà di farsi carico di personaggi femminili drammatici, Monica Vitti ha retto molto bene la difficilissima prova di portare il personaggio di Vittoria, una donna disperata inconsciamente. 

Cinema, letteratura e psicologia

Come per i primi due film L’Avventura e La Notte, anche ne L’Esclisse il cineasta va oltre i tradizionali intrecci narrativi. Il cinema si fonde con la letteratura e la filosofia. La storia d’amore è solo un passe-partout  per narrare crisi esistenziali di una generazione che fatica a vivere. Non sorprende che la psicologia governa le pellicole della trilogia narrando stati depressivi, ansie, insicurezze e la solitudine.

Il cinema di Antonioni ha fatto la storia della filiera. Pur criticato e da molti snobbato, rappresenta indubbiamente un genere che si affaccia ad un pubblico di nicchia e che attira l’attenzione di Hollywood. E proprio tra le colline hollywoodiane Martin Scorsese afferma, in merito al finale de L’Eclisse, che «ci hanno suggerito che le possibilità nel cinema erano assolutamente illimitate». Questo perché la narrativa di Antonioni è ben lontana dal cadere nel prevedibile. La coppia sparisce senza ragione, di loro non v’è traccia, un finale che ha destato sconcerto e forse ancora un pò disturba sebbene oggi se ne coglie maggiormente l’anima artistica.

In Conclusione

La pellicola è più sostenibile delle due precedenti. È meno di nicchia ma per i temi trattati è sicuramente indirizzato ad un pubblico più critico. Monica Vitti è straordinaria, un’interpretazione eccelsa ben distante dai tradizionalismi dell’epoca. La presenza di Alain Delon è quel di più che innalza la pellicola non solo per il cast ma per l’opera in sè.

Tre motivi per vedere il film

  1. Per concludere la trilogia;
  2. Per la presenza di un giovanissimo Alain Delon;
  3. Per la magistrale interpretazione di Monica Vitti.

Quando guardarlo

In qualsiasi momento purché abbiate visto i primi due film della trilogia.

Angela Patalano

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
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Consigliato
Sulla carta sono laureata in Giurisprudenza ma la mia passione più grande è il Cinema e il mondo dell'entertainment in generale. Essenzialmente curiosa ed empatica. Goffa quasi alla Bridget Jones e tanto Geek.

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