Il grande Lebowski, un cult psichedelico ed ironico che rievoca il Noir

Il grande Lebowski scena del film - recensione

Regia: Ethan Coen e Joel Coen
Genere: Commedia
Cast: Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, David Huddleston
Anno: 1998
Nazione: USA, Gran Bretagna
Durata: ‘117

Pietra angolare della filmografia dei fratelli Coen, Il grande Lebowski è un movie cult che ha fatto la storia del cinema con il suo protagonista Drugo (Jeff Bridge, un personaggio (realmente esistito e conosciuto dai fratelli Coen) divenuto il simbolo di un modo d’essere e di vivere: vestito a casaccio, con calzoncini, maglioni sformati e sandali di gomma e con quell’aria costantemente distaccata dal mondo e dai suoi problemi.

Trama

Anni ’90, Los Angeles, Jeffrey Lebowski, che tutti chiamano Drugo, è un pigro hippie disoccupato che vive fumando marijuana, sorseggiando White Russian e giocando a bowling con i suoi amici Walter e Donny. Il suo nome diventerà la sua condanna. Viene, infatti, coinvolto in un caso di rapimento a causa di uno scambio di persona dovuto ad omonimia. Tra tentativi di auto rivendicazione e con l’aiuto dell’amico Walter, veterano del Vietnam, il film sarà un susseguirsi di eventi tragicomici che vi terranno incollati allo schermo della tv.

Più che un cult uno stato mentale allucinogeno e comico

Il film si contraddistingue per la sua unicità e stravaganza, diventando un manifesto culturale che racchiude al suo interno stereotipi propri della cultura americana: il culto del self made man; le sottotrame sessuali che dominano ogni rapporto di potere; l’arte come élite; la musica come massa, sono solo alcune delle sfumature che emergono dalla pellicola.

Il film diventa una proiezione di una parte di una specifica realtà americana, quella della California, che un po’ tutti abbiamo amato grazie ai numerosi film e serie tv che tra gli anni ’80 e gli anni ‘2000 hanno raccontato una terra del benessere e del tutto è possibile. Il grande Lebowski non teme di andare contro correte e racconta con ironia la cruda realtà di Los Angeles dove “le varie subculture sono giustapposte ma non comunicano veramente (…).” In questa realtà i fratelli Coen inseriscono un “personaggio ozioso, rilassato, senza occupazione come quello di Jeff Bridges (Lebowski), che sembra vivere al ralenti, per noi appartiene tipicamente a quella cultura locale (…) nella mente della gente, la cultura psichedelica allucinatoria è associata alla California del Sud e a S. Francisco.” (Ethan e Joel Coen, in V. Bucchieri, Joel e Ethan Coen, Milano, Il Castoro Cinema, 1999). La pellicola è un vero e proprio esperimento sotto le luci hollywoodiane dove i generi si uniscono creando qualcosa di assolutamente geniale e stravagante. Insomma il film se da un lato stereotipizza con leggerezza la realtà americana: troviamo hippie disoccupato e disconnesso con il mondo, gli amici reduci del Vietnam che ancora si sentono soldati, e il solito amico fuori di testa. Una perfetta combinazione che rievoca, con ironia, molti personaggi dei film americani del tempo; dall’altro non teme di mostrare una realtà ben lontana dallo scintillio raccontato da altri registi.

Un cast eccezionale e una regia visionaria hanno portato la pellicola ad un livello superiore. D’altronde sono proprio i suoi personaggi a dare spessore al film. Un cast corale con un grottesco e carismatico Jeff Bridge che governa e guida la trama verso un continuo nonsense. L’autoironia di John Goodman, il fascino di Julianne Moore, il talento di Philip Seymour Hoffman e l’imprevedibilità di Steve Buscemi contribuiscono a trasformare il film in un affare di cultura che coinvolge un’intera generazione e quelle future. I suoi personaggi diventano più che iconici, rappresentano uno status mentale che piace e diverte rappresentando un’epoca: gli anni ’90, anestetizzando lo spettatore da una deriva sociale e culturale orientandosi verso l’unica arma che rende la vita più leggera: l’ironia. 

I dialoghi, scritti con originalità ed ironia,  sono serrati e non superficiali nonostante la natura umoristica delle scene, scandiscono il ritmo rapido della vicenda. Il tappeto sul quale due malviventi urinano diventa l’espediente narrativo che dà il via alla vicenda. L’abitudine dell’amico Walter a combinare guai sulla spinta di un’abitudine ad agire come fosse ancora in guerra, crea una catena di deviazioni labirintiche alla trama.

Il grande Lebowski: il valore semantico del bowling

“Questo non è il Vietnam. È il bowling: ci sono delle regole!”

Considerata una delle migliori pellicole dei fratelli Coen, il film è un vero e proprio manifesto ironico del noir anni ‘40 e ‘50. Ne tratteggiano la struttura classica richiamando con il bowling i grandi classici dove una partita di bowling diventa un passaggio quasi sacro che un uomo deve attraversare prima di compiere scelte di vita. Pensiamo a “La fiamma del peccato” di Billy Wilder, dove il protagonista turbato dalla proposta di assassinare il ricco marito della seducente femme fatale Phyllis Dietrichson, si concede una partita a Bowling. Gli attimi prima di tirare la palla nella speranza di uno Strike diventano un momento sacro che consente di focalizzarsi sul presente lontano dai cattivi pensieri. Il bowling lo ritroviamo anche in “Double Indemnity” o in”I quattro rivali” di Jean Negulesco. Questo sport acquista valore semantico in numerose pellicole. Un momento per se stessi, in cui la concentrazione porta il giocatore a pensare solo all’hic et nunc, lontano dalle scelte di vita, dai peccati, dagli omicidi. Ma i Coen fanno qualcosa in più, scardinano alcuni tratti “somatici” del genere noir e li sdrammatizzano attraverso una vena comica e ironica.

Ne Il Grande Lebowski,il bowling assume una dimensione centrale all’interno delle vicende diventando una sorta di coprotagonista. L’importanza di questo sport nel film emerge anche dai titoli di testa in cui vediamo una serie di inquadrature a ralenti che vanno a cogliere i piccoli gesti, i rituali, gli ingranaggi e i meccanismi umani della sala da bowling in cui i tre amici protagonisti: il Drugo, Walter e Donny, passano la maggior parte del loro tempo libero.

La sala da bowling diventa lo sfondo in cui si snodano i dialoghi più importanti e le scene più comiche. La pista rievoca il suo fine ultimo degli anni 40, luogo di pace in cui rifugiarsi quando tutto va male, l’unico luogo dove le regole e la fisica conducono alla certezza. è il luogo in cui ristabilire l’ordine nei pensieri e nella vita, il luogo dove Drugo torna con i suoi amici dopo ogni evento tragicomico: dopo che gli uomini di Jackie Treehorn irrompono in casa del Drugo e gli urinano sul tappeto;  dopo il fallimento del piano di Walter per sbaragliare i rapitori di Bunny e tenersi il riscatto; dopo la morte di Donny, la risposta dei protagonisti è sempre la stessa: “Let’s go bowling!”.

Senza dubbio, Il Grande Lebowski è entrato nell’immaginario collettivo, dove il bowling non solo assume un ruolo centrale ma i Coen hanno immaginato una modalità di metterlo in scena nuova, originale e divertente.

Curiosità e influenze culturali

  1. nel 2005 il giornalista Oliver Benjamin ha fondato negli Stati Uniti il Dudeismo, una filosofia che ha lo scopo di diffondere lo stile di vita e i principi che caratterizzano il personaggio di Jeff Bridge.
  2. Dopo l’uscita del film si sono susseguiti una serie articoli e saggi che analizzano il mondo di Lebowski: nel 2009 è stato pubblicato The Year’s Work in Lebowski Studies, a cura della Indiana University Press, una raccolta di articoli che vanno dalla corretta preparazione del White Russian al carattere zen o trotskista del personaggio. (Giorgio Falco, Perdenti di successo, su ricerca.repubblica.it, repubblica.it, 14 gennaio 2010.)
  3. Il grande Lebowski non è solo un cult ma proprio un culto. Dal 2002 ogni anno viene celebrato a Louisville e in altre cittadine americane il Lebowski Fest, un raduno di fan del film. L’evento ospita parate di fan vestiti come i loro idoli, perché essere il Drugo significa prima di tutto condividere e avere qualcuno con cui alimentare il caos.
  4. Il personaggio di Walter Sobchak (interpretato da John Goodman) ha ispirato al comico italiano Maurizio Crozza il personaggio di Napalm51.
  5. I Coen e la scorpacciata di MacGuffin. Ma che cos’è? Si tratta di un espediente narrativo molto usato nel cinema. “Un termine coniato dal maestro del brivido Alfred Hitchcock e con il quale si intende identificare il mezzo attraverso il quale si fornisce dinamicità a una trama. Il “McGuffin” rappresenta un qualcosa che per i personaggi ha un’importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l’azione, ma che non possiede un vero significato per lo spettatore.” Ne Il grande Lebowski i Coen usano il MacGuffin a partire dal tappeto maltrattato per poi continuare con la valigetta, il dito mozzato, il compito corretto. Insomma non lesinano di MacGuffin, con un susseguirsi di depistaggi che non conducono a nulla ma riempiono di delirio una storia che con tutto il suo nonsense accompagna un significato più nobile.

Quando guardarlo

Per rivivere la magia folle degli anni ’90 e apprendere la vera essenza dell’essere Drugo. Con amici o da soli, Il grande Lebowski è un film che va rivisto più volte nella vita. Crescendo ne coglierete le diverse sfaccettature.

Tre motivi per guardarlo

  1. Perchè il film sarà diverso ad ogni visione, ne coglierete sfumature sempre diverse.
  2. Per la colonna sonora. Il grande Lebowski è un jukebox, vi si trova di tutto: dal folk al country, passando per suggestioni latinoamericane.
  3. Un meta cinema a tutti gli effetti. Il grande Lebowski è proprio un esperimento dei Coen scritto e diretto per il puro piacere di divertire il pubblico.  Un film camuffato da crime story, ma che spazia nel noir sino a sfiorare il musical. Le citazioni pulp, memori di Quentin Tarantino (dalla valigetta all’attenzione feticista per i piedi), si alternano ad altri rimandi espliciti come quello kubrickiano del mitico sergente maggiore Hartman.

Angela Patalano

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Consigliato
Angela Patalano
Sulla carta sono laureata in Giurisprudenza ma la mia passione più grande è il Cinema e il mondo dell'entertainment in generale. Essenzialmente curiosa ed empatica. Goffa quasi alla Bridget Jones e tanto Geek.
il-grande-lebowski-recensioneFilm cult degli anni '90. Manifesto generazionale che ancora oggi influenza con il modo d'essere alla Drugo. Il grande Lebowski dei fratelli Coen non è un film per tutti. Da un punto di vista tecnico è uno dei migliori del tempo, ma sicuramente adatto soprattutto ad un publico di nicchia.

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