Il Joker di Citizen X al Teatro Planet

Citizen X: un documentario teatrale di pagliacci manipolati

Torniamo a questa seconda edizione del DOIT Festival, presentata quest’anno al Teatro Planet di Roma. Lo spettacolo della sera del 18 marzo è Citizen X, già ospite al Roma Fringe Festival 2015 per la sezione “Scena Romana” e promosso dall’associazione culturale “La casa della locusta”; regia di Manuela Rossetti, con Antonella Civale, digital performer Simone Palma e musiche originali di Mauro D’Alessandro. Ha condotto il dibattito Renata Savo di Recensito.
Teatro Planet
Ombre e meccanismi in proiezione.
Diviso in episodi, Citizen X catapulta in una realtà distopica e soffocante, immersa nella penombra di cupi monolocali. C’è sempre un vecchio televisore a tubo catodico ad illuminare il volto di chi guarda. Sono angoli contesi tra tende e finestre immaginarie: proiezioni di un computer che materializza video sul fondale e impone al “cittadino” di turno di interagirvi. È una chiara esemplificazione delle diverse sfaccettature di questa fotografia tematica del presente: l’attrice è sempre la stessa e dalle sue parole, dalla sua gestualità spezzata, confusa, affannata, ne derivano le declinazioni di una pluralità di persone. Cittadini anch’essi, di corsa nella realtà metropolitana, acquisiscono per brevi istanti lo status di personaggi a sé stanti, per poi ritornare come angosce e travestimenti della stessa donna, in cerca di lavoro e di un riconoscimento nella società liquida. Questa atmosfera occlusiva e fumosa sfiora il noir e ammicca al cinema di fantascienza del secolo scorso, trasportando con sé un profondo respiro di italianità, di cui sono intrisi i dialoghi ed i temi. È perciò la resa sul palco di un presente che, seppur generalizzato e dalle scenografie adattabili a qualsiasi luogo, risponde ad un contesto che resta locale, romano. Cambia perciò il linguaggio, non in senso fonetico e lessicale, ma nell’ambito dei contenuti, dei rimandi comuni. La religione si trasforma così nel colore dell’intercalare di una madre al figlio, come un modo per chiudere un discorso: alla miseria moderna del ragazzo di non poter essere indipendente con un proprio impiego; all’eccesso di tempo libero; all’incubo di non poter mai “puzzare” di lavoro come i propri padri, si può rispondere solo col messianismo di un “Dio t’aiuti!”
La realtà che emerge è quella di una generazione che cerca disperatamente di rientrare in un sistema produttivo. È ormai definitivamente svelato il suo mondo utilitarista e disumanizzato, che richiede come tessera d’ingresso la trasformazione in pagliacci, la cui unica personalità permessa è quella richiesta per il colloquio. Citizen X diventa allora un viaggio di formazione che non arriva da nessuna parte e s’impantana in un incubo, dove il volto truccato in modo grottesco della donna e il sorriso di un Joker in cerca di lavoro diventano il punto pivotale di un canto corale della disoccupazione. “Manipolatori di pagliacci […] rubate i miei sogni // senza parlare mi offendete.
© Walter Mirabile
Foto di Walter Mirabile – La maschera
Citizen X si ricollega al cinema, facendo eco a Citizen Kane di Orson Welles (Quarto Potere) del 1941. Si decide, come ormai è diventata prassi del gusto teatrale, di integrare una commistione di più tecniche visive. Con una sola attrice sul palco, la scenografia che la circonda, essenzialmente costruita tra proiezioni virtuali ed un televisore, si fa un amalgama incombente, arricchito da musiche originali. Se però la scelta è di grande atmosfera, ne deriva comunque un senso di confusione involontario: in un’ora di spettacolo sono concentrati decine di espedienti, tecniche, suggestioni, prove. La densità del presente giustifica un approccio che sappia rispecchiarla, ma il rumore che risulta nella rappresentazione è segno di una mancanza d’esperienza. Come la stessa regista ha ammesso, Citizen X nasce da un percorso di ricerca; come tale, non può considerarsi ancora concluso. Documentare la contemporaneità è però una necessità e chiunque decida di abbracciare lo scopo ha il dovere, allo stesso tempo, di continuare ad evolvere il proprio lavoro, così come il presente avanza di giorno in giorno, svelando il proprio schema. Le atmosfere dello spettacolo sono ben individuate, così come il punto di vista italianizzato e localizzato. Il continuo declinarsi di persone nella medesima attrice rendono l’idea delle fiumane urbane, in viaggio tra treni, uffici, rampe di scale e piccoli appartamenti. Fondamentale è l’aver chiamato in causa la figura del pagliaccio. Di contro, però, altre componenti di Citizen X mancano di maturità tematica; rimanere alla superficie delle cose significa avallare il luogo comune piuttosto che la verità, ovunque essa si trovi. Una fotografia del proprio tempo, trasmessa dal teatro, deve saper scavare in profondità, in modo da svelare quanto il mondo disperatamente cerca di tenere nascosto. È la radice del presente a chiedere allo spettacolo di essere portata alla luce e a imporre a Citizen X un salto verso un’ulteriore elaborazione.


Gabriele Di Donfrancesco

Gabriele Di Donfrancesco
Nato a Roma nel 1995 da famiglia italo-guatemalteca, è un cittadino di questo mondo che studia Lingue e Lettere Straniere alla Sapienza. Si è diplomato al liceo classico Aristofane ed ama la cosa pubblica. Vorrebbe aver letto tutto e aspira un giorno ad essere sintetico. Tra le sue passioni troviamo il riciclo, le belle persone, la buona musica, i viaggi low cost, il teatro d'avanguardia e la coerenza.

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