“Ci avete rotto il caos”, lo spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Bollate

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Foto di CulturaMente

Sotto la romantica cornice del Castello Sforzesco, all’interno del palinsesto culturale cittadino “Milano è Viva“, si è tenuto la settimana scorsa “Ci avete rotto il caos” a cura di Società cooperativa Le Crisalidi. Scritto e diretto dai detenuti della Seconda Casa di Reclusione Milano Bollate, lo spettacolo nasce con l’intento di offrire uno spunto riflessivo sul tema del bullismo e del disagio giovanile, che sfocia in dinamiche spesso pericolose e inadeguate.

Un messaggio potente verso le nuove generazioni, e non solo

Per i detenuti di Bollate è stata la prima volta in cui si sono esibiti in esterna, su un palco nuovo e grande come quello del Castello Sforzesco. Un pubblico, composto anche dai familiari dei detenuti, che non ha trattenuto al commozione davanti a scene di violenza e di bullismo, interpretate egregiamente.

Storie a tratti autobiografiche, storie di chi è entrato in carcere e non ne è ancora uscito. Uno spettacolo che ha tenuto gli spettatori sul filo del pianto, che ha riscosso diversi e lunghi applausi e che non si è trattenuto dal far intendere quanto importante siano le scelte e le motivazioni delle stesse nella vita di tutti i giorni.

Quanto sia importante fermarsi un attimo prima di compiere azioni che avrebbero inevitabilmente ripercussioni negative. Ma anche, quanto sia fondamentale, qualora fossero state commesse tali azioni, raggiungere la consapevolezza dei reati commessi e scegliere di diventare una persona migliore. E sicuramente il teatro è una grandissima occasione di rieducazione.

Non è la prima volta che scrivo di carcere, qualche tempo fa avevo intervistato Salvatore Ferraro rispetto alla gestione del COVID-19 all’interno delle carceri italiane. Ma oggi parleremo di teatro.

L’intervista alle responsabili di “Le Crisalidi”

Ho avuto il piacere di intervistare Serena e Beatrice, le responsabili dell’Associazione “Le Crisalidi” che ha curato il laboratorio teatrale all’interno del carcere.

Come nasce la compagnia teatrale? 

La compagnia teatrale nasce dalla volontà di formare un gruppo di ragazzi detenuti alle attività teatrali con cui intraprendere un percorso laboratoriale volto alla creazione e alla messa in scena di spettacoli. 

Come nasce lo spettacolo “Ci avete rotto il caos”?

Lo spettacolo “Ci avete rotto il Caos” nasce internamente dai ragazzi che anni fa facevano parte del gruppo teatrale di Bollate.

Lo spettacolo, infatti, è interamente stato scritto e diretto dai detenuti e ha visto, negli anni, il susseguirsi di vari interpreti. 

L’idea motrice era quella di portare in scena uno spaccato di vita che, senza entrare in riferimenti biografici specifici, rispecchiasse in qualche modo le storie, o frammenti di storie, di ognuno. 

Come si combatte, attraverso il teatro, lo stigma che si porta dietro un detenuto?

Noi crediamo fortemente che il teatro sia fonte di respiro, sopratutto in un luogo di reclusione dove il concetto di libertà viene meno. A teatro tutti sono uguali e liberi di esprimersi artisticamente come credono.

Un modo per uscire dalla condizione di “detenuto” anche agli occhi del pubblico che partecipa agli spettacoli. 

In che maniera rispondono i detenuti alla proposta di uno spettacolo teatrale?

Le richieste per partecipare al teatro sono sempre molte e se in prima battuta l’approccio a tali attività rappresenta un modo per scappare dalla routine carceraria poi, col tempo, nasce un interesse e una passione che avvicina i detenuti sempre di più alla realtà teatrale. Sono loro stessi che avanzano proposte drammaturgiche e sceniche partecipando attivamente ad ogni fase della creazione dello spettacolo. 

ll teatro ha una potenza rieducativa enorme. Quanti, scontata la pensa, si dedicano con passione a questa forma d’arte?

Dopo tanti anni che facciamo questo lavoro abbiamo visto varie persone continuare con il percorso teatrale anche una volta usciti dal carcere. Alcuni si sono appassionati più alla parte attoriale, altri più ai mestieri tecnici ( luci, audio etc.). Per altri, pur non proseguendo al di fuori, rimane comunque un’esperienza arricchente sotto vari aspetti. 

Se si potesse fare una richiesta all’amministrazione o allo Stato rispetto al teatro in carcere, cosa chiedereste?

Le attività teatrali nelle carceri sono oggi sempre più presenti sul territorio nazionale. Ci sono ancora grandi scogli da superare, soprattutto per quanto riguarda il “portare fuori” dagli Istituti il lavoro svolto dentro. Bollate in questo senso è molto avanti e l’augurio è che, in futuro, la possibilità di esibirsi all’esterno diventi una costante e non un’eccezione. 

L’intervista a Christian Flore, detenuto e attore

A termine spettacolo conosco e chiacchiero con Christian Flore, un detenuto del carcere di Bollate, attore protagonista dello spettacolo che interpreta il ruolo di un disabile bullizzato.

Francesca Sorge e Christian Flore – foto di CulturaMente

Non potevi esimermi da fargli qualche domanda:

Christian parlami del progetto teatrale visto con i tuoi occhi.

Il progetto nasce da un’esperienza svolta all’interno dell’istituto con Michelina Capato, nostra registra che aveva fondato la compagnia teatrale Estia. Gli attori visti in scena sono gli “orfanelli” di Michelina Capato, maestra che ci ha insegnato tutto. Purtroppo è venuta a mancare prima per vicissitudini personali e poi fisicamente e abbiamo voluto portare davanti da soli il suo progetto.

Ci sentiamo un seme della pianta che lei ha fatto crescere in tanti anni di lavoro.

Michelina Capato ci ha insegnato a diventare attori e non detenuti – attori, trasmettendoci passione, strumenti e professionalità. Non poteva disperdere quella eredità. Per tanto abbiamo fondato la nostra compagnia che si chiama “Art27/Figli di Estia”.

Non è facile fondare una compagnia teatrale, ci sono state difficoltà nel scrivere e recitare ma soprattutto nel confronto con gli altri detenuti?

Io ho una forza e una debolezza: io sono un detenuto. Comprendi bene che posso usare e comprendere il linguaggio dei detenuti. Dico sempre che chi non fa la galera non potrà mai cogliere quel lato oscuro della luna che si vede solo se si sconta una pena. Non lo auguro a nessuno ovviamente. Con questa fortuna e la passione del teatro cerco di trasmettere gli insegnamenti che ho ricevuto qui dentro.

La mia metodologia non potrà mai essere approvata perché faccio leva sui loro essere duri, sulle facciate che ci si crea in galera per sopravvivere e sui ruoli che rivestiamo lì dentro e che a fatica, in carcere, riesci a togliere per far vedere realmente chi sei.

In questo spettacolo hai interpretato il ruolo di un disabile bullizzato. le tue fatiche se ci sono state e cosa ti ha restituito quel personaggio?

Intanto mi ha restituito un’umanità che so di avere avuto dentro per esperienze personali ma che non avevo ancora tirato fuori. Serve empatia e serve mettersi in ascolto con il mondo, chiramente la disabilità è una sofferenza e io la vivo quotidianamente per motivi personali.

Ma non solo: mi riferisco alla disabilità fisica, mentale e se posso aggiungere, anche dell’anima. Il personaggio che ho interpretato mi ha restituito l’approccio, la forza e la consapevolezza che ti vien fuori nel cercare di superare la disabilità interiore. Ho cercato volutamente questo personaggio per dare proprio il senso della crudeltà.

Per cercare di essere vero, ho fatto uno sforzo emotivo non indifferente.

Nel tuo percorso di detenzione sei riuscito a dialogare con “Enza – la coscienza” di cui parlate nello spettacolo?

Sì sicuramente, per questo ti dovrei raccontare la storia di Christian “detenuto, delinquente, criminale” che nonostante tutto mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Ma questa sarebbe un’altra storia.

Francesca Sorge

Educatrice, 37 anni, pugliese di nascita ma milanese di adozione. Appassionata di musica, fotografia e lettura.

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