Venere, Adone e quell’amore shakespeariano secondo Salvo

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Venere e Adone è un poema di William Shakespeare, considerato il primo successo letterario del bardo inglese.

La storia prende spunto dal libro X delle Metamorfosi di Ovidio, cambiando qualcosa del poeta latino. Questo, infatti, nel suo racconto epico, narra l’incontro tra la Dea dell’Amore e Adone, simbolo per eccellenza della bellezza giovanile. In un tripudio di lirica, le due figure epiche si uniscono, si separano, si braccano e si sfuggono, per poi dividersi, provando il tormento e la gioia.

La trama di Venere e Adone di Shakespeare non si discosta molto da quella di Ovidio. Si svolge in un arco temporale ben preciso, aggiungendo “quel qualcosa” tipico del bardo, come il rifiuto da parte del giovane alle lusinghe della dea.

Trama curiosa, che venne scritta non per le scene; ma che nel corso dei secoli ha visto anche dei rifacimenti teatrali.

Tra questi, quello che ha aperto la stagione del Globe Theatre 2020 il 29 luglio, con la regia di Daniele Salvo.

Lo spettacolo riprende in pieno quanto scritto nel racconto di Shakespeare. Il ritmo, le luci e il perfetto altalenarsi tra ironia, tragedia e spirito classico riescono a ipnotizzare il pubblico, facendogli vivere completamente l’epica vicenda.

Il regista emiliano mostra in questa rappresentazione del poema di William Shakespeare una forte eredità proveniente dalla scuola di Luca Ronconi. Lo capiamo dalla scenografia. Questa infatti è essenziale e funzionale allo stesso tempo, capace di adeguarsi e di seguire le iperbole del racconto, senza mai subire eccessivi cambiamenti.

Su un palco principalmente vuoto, se non con due tavoli e panchine di legno, capaci di divenire una scaletta all’occorrenza; il regista muove le vicende dei protagonisti, utilizzando una semplice struttura archittetonica, vuota all’interno e limitata da pareti trasperenti in vetro, in grado di essere un luogo dove arrampicarsi; ma anche imprigionare, riflettere, fuggire e….dirigere.

In scena ci sono solo 3 attori: Gianluigi Fogacci, nella parte di Shakespeare; e nei ruoli di Adone e Venere, Riccardo Parravicini e Melania Giglio.

Il ruolo dello scrittore risulta un buon escamotage per riuscire a narrare quelle parti che la mera espressione a volte non riesce a rendere. Fugacci è a suo agio nella parte. Che stia muovendo le marionette dei personaggi che sono di fronte a noi; che ironizzi con loro o ci parli di cosa sta ccadendo o accadrà, per l’attore non cambia niente. È brillante, capace: il suo curriculum parla per lui

Riccardo Parravicini è anche lui ben inserito nella parte. Non nuovo alla regia di Daniele Salvo e al palco del Globe, poiché ha fatto parte del coro nell’edizione dello scorso anno del Giulio Cesare; l’attore dona ad Adone espressività e polso.

Melania Giglio, con la sua Venere, porta in scena una figura profonda, ironica, capricciosa; inserita così bene in una miscela di ossessione e desiderio, da far credere al pubblico che forse è questo l’Amore. Tranne pochi istanti, è sempre in scena. Gli spettatori ridono e piangono per la sua Dea; rimngono travolti dai suoi canti e cercano nelle sue parole il messaggio finale che Shakespeare (e con esso Salvo) vuole trasmettere.

Un’opera non teatrale di Shakespeare, diversa dai noti sonetti, tradotta in spettacolo, che merita quindi di essere vissuta. Si sa, però, che come per i testi di Eschilo ed Euripide, vedere le regie di Daniele Salvo è sempre una garanzia di successo. 5 stelle su 5.

Francesco Fario

Foto presa da Wikcommons, licenza cc-01

Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

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