Al Teatro Eliseo di Roma fino al 3 febbraio è in scena “Il Maestro e Margherita”, stupendo adattamento di Letizia Russo e Andrea Baracco del romanzo di Bulgakov.
Si capisce subito che lo spettacolo “Il Maestro e Margherita” è il frutto di un grande amore per il romanzo omonimo di Michail Bulgakov. La riscrittura di Letizia Russo ne riesce a cogliere, esprimendola al meglio, l’atmosfera visionaria e grottesca. La regia di Andrea Baracco e l’affascinante Woland di Michele Riondino completano la magia.
Lo spettacolo è di immediato impatto visivo. Semplicemente stupendo. La scenografia è apparentemente spoglia. Porte e finestre si aprono, svelano personaggio, scompaiono nelle tre pareti che formano le quinte. Dipinte di nero effetto metallo, sono coperte di graffiti in gesso, tra i quali spiccano i disegni di altoparlanti.
Su quelle pareti a un certo punto qualcuno scriverà: “liberati dal Maligno, sono rimasti maligni”, frase del Faust di Goethe. Mi è sembrato un riferimento implicito ad uno dei temi sottesi al romanzo di Bulgakov: la critica alla cultura e alla società sovietica (e ancor più stalinista) dell’epoca che, convintamente atea, rifiutava ogni forma di misticismo e religione, senza però riuscire davvero a mettere al centro l’amore per l’essere umano. Il Diavolo non esiste (più), ma la malvagità è viva e vegeta.
Letizia Russo ha, quindi, mantenuto un filo con questo tema del romanzo, come con quello della critica all’immobilismo sovietico. Parlando dello spettacolo di magia nera di Woland si allude al popolo russo come ad un popolo che ha rinunciato alla libertà e all’immaginazione. Attraverso un implicito paragone con la Gerusalemme di Ponzio Pilato si descrive Mosca come una città imprevedibile che non si ribella ad una condanna ingiusta (il rifiuto del manoscritto del Maestro da parte degli editori), perché si prepara ad una festa.
Ma tra i tanti temi che affronta “Il Maestro e Margherita”, lo spettacolo predilige quello dell’immaginazione umana, “un’arma potente e fragile, in grado di erigere strutture grandiose ma incapace di contenere davvero il Mistero”.
Nella versione teatrale di Russo e del regista Andrea Baracco, le tre linee narrative su cui si muove il racconto di Bulgakov (l’irruzione a Mosca del Diavolo e dei suoi aiutanti, la tormentata storia d’amore tra il Maestro e Margherita, e la vicenda umana del governatore di Palestina, Ponzio Pilato, che dovrà decidere delle sorti di un innocente) sono “lette e restituite attraverso un meccanismo di moltiplicazione dei registri e dei ruoli, facendo dell’evocazione e dell’immaginazione le chiavi per immergersi in un racconto complesso e tragicomico come la vita. Ma a quella forza in grado di sovvertire l’ordine e di abbattere confini reali e immateriali, all’amore tra due esseri umani e alla sua capacità di sopravvivere anche alla morte, sarà affidato il compito di tenerci per mano e domandarci, insieme al Maestro e alla sua Margherita: cos’è la verità?”.
La coppia protagonista è interpretata da Federica Rosellini (che non è nuova agli spettacoli dall’atmosfera “diabolica”) e Francesco Bonomo, che interpreta anche Ponzio Pilato. Entrambi sono credibili e coinvolgenti nei ruolo ruoli. Margherita è proprio la donna nei cui occhi “brillava una tale solitudine …”, come la descrive il Maestro. Lui è lo scrittore, l’artista ingiustamente incompreso, la parte autobiografica del romanzo di Michail Bulgakov.
Il loro amore è intenso nonostante la lontananza. D’altronde quell’amore è balzato davanti a loro “dal nulla come un assassino in un vicolo” e li ha trafitti entrambi, nello stesso istante, come una lama.
Il tutto è messo in scena dalla regia di Andrea Baracco in maniera impeccabile e coinvolgente: 2 ore e 35 minuti di spettacolo in cui, personalmente, non mi sono annoiata neanche per un secondo.
Risultano molto efficaci le soluzioni sceniche per rappresentare immagini complesse sul piano ambientale: l’arrivo di un tram; una nuotata nel fiume; il volo di Margherita nel cielo stellato di Mosca; la persistenza del Maestro nei pensieri di Margherita, quando lui la lascia ed è detenuto in manicomio. Non vi svelerò cosa si sono immaginati il regista Barraco, la scenografa Marta Crisolini Malatesta (che ha curato anche i costumi) e il tecnico delle luci Simone De Angelis per rendere queste scene. Vi auguro di poterlo vedere a teatro.
L’adattamento in scena al Teatro Eliseo esalta il carattere grottesco del romanzo di Bulgakov, a partire dal seguito del Diavolo, Woland. Il valletto Korov’ev, il gatto Behemot e la strega Hella sono interpretati rispettivamente dai bravissimi Alessandro Pezzali, Giorgano Agrusta e Carolina Balucani. Tra l’altro, ci deliziano con balletti surreali, accompagnando le scene più drammatiche o più solenni, ad esempio il colloquio tra Caifa e Ponzio Pilato.
Divertenti, sopra le righe, inquietanti questi personaggi descrivono un mondo diabolico, ma simpatico, che alla fine non fa troppa paura, ma descrive l’umanità.
Tra loro regna Woland, qui un grandissimo Michele Riondino, che non tradisce le aspettative del pubblico. Dalla postura all’impostazione della voce costruisce un Satana a tratti terrificante e grottesco, come il Joker di Heath Ledger, a tratti rassicurante. Ci dirà, infatti, verso la fine: “quando tutto è perduto, io nasco”.
E quando alla fine risuonano le note di Nick Cave e dei Rolling Stones, si prova effettivamente “compassione per il diavolo”.
Stefania Fiducia
Credits: la foto di scena in copertina è di Guido Mencari