Sul palco dell’Auditorium Silvia Gallerano è seduta su uno sgabello molto alto. Stringe in mano un microfono e la luce mette in risalto il suo rossetto rosso, unico orpello di scena, e due codini sulla testa. La combinazione ossimorica tra trucco e acconciatura prelude alla natura del personaggio: un po’ donna, un po’ bambina.
L’attrice ha una tale capacità di modulare la propria voce che lo spettatore dimentica quasi subito di avere una donna completamente nuda davanti agli occhi.
Inizia così il racconto de La Merda. Quella che ingurgitiamo durante la nostra esistenza per quantomeno tentare di perseguire un ideale. Magari ci sviliamo, magari facciamo cose che mortificano la nostra identità, addirittura compiamo gesti che ci disgustano con la musica alta nelle orecchie, per non pensarci, per sognare di essere altrove. Eppure lo facciamo. In nome di qualche idea che ci hanno insegnato e che crediamo sia giusta per noi. Non importa come riduciamo il nostro corpo, non importa se calpestiamo la nostra anima: conta solo arrivare, arrivare da qualche parte che venga ritenuta all’altezza. Questo il metro del nostro valore. La corsa affannata verso il nostro destino fatto di aspettative preconfezionate. Verso una libertà fittizia, un’autonomia fallace, una ridicola “realizzazione”, che guarda caso non si identifica mai con i nostri sogni.
Silvia Gallerano è posseduta da mille voci, mille caratteri, tanto che l’ora di spettacolo che regge solo sulle sue piccole spalle scorre tra l’ilarità e il turbamento del pubblico.
Molti hanno riso in sala, dall’inizio alla fine. Io non ci sono riuscita. A dire il vero, nonostante Silvia Gallerano abbia dato un’ottima dimostrazione del proprio talento, io non sono stata in grado nemmeno ad applaudire. Quindi forse il mio problema non è con l’interprete, ma col testo di Cristian Ceresoli.
Negli ultimi anni ho visto innumerevoli spettacoli, molti dei quali mi sono sembrati lo specchio di una società che ci vuole in un certo modo. Come se fossimo vittime di non si sa quale divinità o gioco di sistema. Ma la verità è che la società la facciamo noi, le persone, quindi tutta la denuncia che propiniamo è profondamente ipocrita. Solo noi possiamo avere la forza di ribellarci e di cambiare le cose se non ci stanno bene.
La protagonista afferma di aver succhiato uccelli per “misericordia”. Ma dov’è la denuncia se non nel lessico poco ortodosso? Dimmi che l’hai morso.
Almeno avresti qualcosa da raccontare su un palco, qualcosa di originale. Ho morso un pisello che non volevo nella mia bocca. Sarebbe questa forse la vera denuncia, l’effettiva presa di posizione. Invece no. In Italia regna sovrano il patetismo, ma è un patetismo che ormai è il leitmotiv della nostra vita. E visto che non mordiamo piselli nella realtà, visto che le donne sono sopraffatte dalla violenza e tutti noi, uomini e donne, siamo schiacciati dalle cosiddette “sovrastrutture”, dall’homo homini lupus, alla fine sguazziamo sempre dentro alla merda. Volenti o nolenti, consapevoli o inconsapevoli.
Perché almeno l’arte non prova a offrire una soluzione, un modello, un exemplum? Un’ispirazione che mi faccia uscire dal teatro con una speranza. Invece esco dal teatro, affiancata da gente che al botteghino si vergogna di dire il nome dello spettacolo – LA MERDA – quando ritira il biglietto, ma che applaude scrosciante e con standing ovation di fronte a qualcosa di globalmente apprezzato e pluripremiato. E quindi si può applaudire a cuor leggero, del resto è piaciuto a tutto il mondo. Anche se si chiama La Merda e non si può dire. Adesso possiamo tornare a fare quello che facevamo prima, e nulla è cambiato. L’Italia non s’è desta e nemmeno le coscienze. La merda sta ancora dove l’abbiamo lasciata.
Alessia Pizzi
La critica era partita benissimo, lasciando ben sperare in uno spiraglio di luce in mezzo a mille voci identiche, confuse e naturalmente alfieri della stessa merda di cui sopra. Purtroppo si è scivolati nel solito femminismo da articolo di blog, oggi obbligatorio, perfino quando la soluzione era ancora più semplice: perché dover mordere uccelli che non si vuol avere in bocca? Basta non averli in bocca.
Dev’essere incredibilmente difficile da figurare un mondo in cui si può evitare di prendere un uccello in bocca, invece di dire “ok” allo scopo o di lamentarsi o di vendicarsi. E di qui, di nuovo, la merda. La merda di una presunta superiorità, la merda di considerare sempre un uccello il male supremo, la merda di scriverlo, la merda del non potersi gustare la vita (e gli EVENTUALI uccelli voluti) per quello che è, riciclandosi perennemente in un ruolo che, diciamolo, è proprio quello che ad ogni uomo fa schifo: una donna che si vuole sentire donna, invece di una donna che si vuole sentire persona. E quindi bene, ennesima riproposizione di una visione per la quale la donna non è una persona, ennesimo focus su qualità importanti (la donna può mordere uccelli per vendetta), ennesima occasione mancata di liberazione da tutta la merda che, applausi o non applausi, non ci toglieremo mai di dosso.
Perché se non basta una pausa di un’ora dai problemi, se la società torna ad essere la solita melma di prima, senza alcun valore aggiunto, se tutto questo è pur vero, devo purtroppo farti notare che non basta neppure riuscire a vedere l’unico punto che ti tocca personalmente, in quanto donna, e in quanto completamente calata nel personaggio che la merda stessa vuole che tu sia, ruolo per ruolo, parola per parola, senza possibilità alcuna di uscirne.
La cosa ancora più triste è che non hai notato che il monologo funzionerebbe ugualmente se lei fosse vestita.
La ricerca dello scandalo, dal titolo ai costumi di scena, è la merda.
La scelta di una donna nuda, in linea col femminismo di questi anni (liberazione del corpo della donna ecc) ed in linea con la voglia degli uomini di vedere donne nude, è la merda.
Il messaggio non passa semplicemente perché non c’è: cultura non significa triggerare lo scandalo.
Ciao, personalmente non ho nulla contro gli uccelli in bocca per proprio piacere. Tutt’altro. Non so da cosa hai dedotto il contrario. Ora andiamo a contestualizzare però, perché mi sembri un po’ generalista nell’approccio, e parliamo dello spettacolo:
Il testo de La Merda non mi è sembrato originale per l’anno in cui è stato portato in scena (la recensione risale al 2018). Ho giusto proposto un paio di spunti che mi avrebbero fatto ridere e riflettere, come ad esempio mordere un uccello presente scomodamente in bocca, piuttosto che dire di averlo messo in bocca “per misericordia”. Quella sarebbe stata una mossa originale nel testo per vari motivi che ho già specificato.
Perché, se leggi attentamente, io scrivo che non ho riso a differenza di tutti gli altri. Quindi il testo teatrale ha anche questo intento, oltre a quello di denuncia più o meno implicita. Mi sembra che la tua interpretazione della mia recensione, come anche del testo teatrale, sia carica di una pesantezza che in realtà non c’è: ti confermo che l’uccello non il male supremo, tutt’altro. Questo tuo accanimento generalista è tipico delle persone che proiettano le proprie percezioni sugli altri e quindi di chi solitamente fa polemiche abbastanza evitabili.
Per quanto concerne il “tipico femminismo da blog” di cui parli, non so che dirti se non che in questo sito tutti scrivono ciò che vogliono, senza linea editoriale predefinita. Quindi quello che leggi è la mia impressione del 2018 dopo la visione dello spettacolo; se per te è “tipica” non so bene come commentare, ma leggendo le tue riflessioni ho seri dubbi che tu l’abbia letta senza pregiudizio: mi sembri un po’ troppo accanita e poco propensa al dialogo. Personalmente non mi sono mai ritenuta una femminista, piuttosto sono una studiosa dei Gender Studies da una decina d’anni. Le etichette, i preconcetti, i giudizi …quelli sì che sono tristi!