Piazza degli Eroi di Thomas Bernhard, diretto da Roberto Andò e rappresentato per la prima volta in Italia, è al Teatro Argentina fino al 23 gennaio 2022.
Piazza degli Eroi è l’ultimo testo teatrale scritto nel 1988 dal drammaturgo austriaco Thomas Bernhard. Da molti considerato uno dei suoi maggiori capolavori, non sfugge allo spettatore che è soprattutto il suo testamento, un manifesto politico, una critica viscerale e spietata al suo Paese.
Una critica che nel 1989, anno della sua morte, si concretizzò in un testamento vero e proprio in cui il drammaturgo dispose che in Austria le proprie opere non dovessero più essere né pubblicate, né messe in scena.
Piazza degli Eroi viene rappresentato oggi per la prima volta in Italia, nella traduzione di Roberto Menin e diretto da Roberto Andò, che ha deciso di metterlo in scena riconoscendo universalità a questo testo visionario e catastrofico.
Dopo aver debuttato il 12 gennaio 2022, resterà in in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 23 gennaio. Poi sarà rappresentato al Teatro Carignano di Torino (25-30 gennaio), al Teatro Ivo Chiesa di Genova (1-6 febbraio), al Teatro Biondo di Palermo (8-13 febbraio), al Teatro Sociale di Brescia (16-20 febbraio), al Teatro della Pergola di Firenze (22-27 febbraio) e, infine al Teatro Verdi di Salerno (3-6 marzo).
La storia di Piazza degli Eroi è un ponte tra passato remoto, passato recente e presente.
Lo spettacolo si apre all’interno di una casa borghese di Vienna, quella del Professor Josef Schuster, che la settimana prima si è suicidato buttandosi da una delle alte finestre che incombono sul fondo della scena.
La Signora Zittel (la bravissima Imma Villa), la sua domestica/governante, ripercorre le sue idee, le sue abitudini, le sue idiosincrasie, mentre insieme alla cameriera prepara i bagagli che la ormai vedova Schuster porterà nella casa di campagna, dove sta per trasferirsi per qualche tempo.
La signora è malata di mente. Lei e il Professore sono ebrei. Insieme al fratello del marito, Robert Schuster (l’eccezionale Renato Carpentieri), nel 1938 sono fuggiti dall’Austria e hanno vissuto per trent’anni in Inghilterra. Da quando sono tornati a Vienna, la Signora Schuster ha perso la testa: sente costantemente le urla provenienti da Piazza degli Eroi. Qui il 15 marzo 1938 Hitler aveva annunciato l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista e al suo funesto destino. La folla era festante e acclamava il cancelliere dittatore, inizio di un atteggiamento molto collaborazionista degli austriaci, soprattutto nelle persecuzioni contro gli ebrei. Quelle stesse urla – davvero terrificanti – le ascolteranno anche gli spettatori alla fine, guardando il volto atterrito della Signora Schuster.
Nel primo atto la Signora Zimmel, con un quasi monologo, “interpreta” le premesse di quel suicidio. Il nazismo, con la sua scia di traumi e dolori per la famiglia Schuster e gli altri ebrei, aleggia sul racconto, senza mai essere nominato.
Negli altri due atti, tutti i personaggi raccontano il proprio dolore nell’essere circondati dall’odio altrui, quello del 1938 in pieno nazismo, quello del 1988, quando un passante sputa addosso alla figlia del Professore, Olga.
La pièce è una critica amareggiata e spietata della società austriaca della fine degli anni ’80 del Novecento.
Quando scrive Piazza degli Eroi, Thomas Bernhard è alla fine della propria vita e ciò che vede intorno a sé è una società decadente. Intravede un futuro fosco già dai primi consensi raccolti da Jörg Haider.
Il testo raggiunge un alto tasso di densità nelle scene di Robert Schuster, fratello del professore suicida, a cui l’autore affida il suo manifesto politico e artistico: una visione critica, disincantata e pessimista della realtà. Basti pensare alla fermezza con cui l’anziano professore si rifiuta di aiutare le nipoti a “salvare” il frutteto di famiglia: la (sua) vita è stata una protesta continua; ma la protesta non cambia nulla. Vienna è descritta come una città da sempre antisemita. L’ottusità ha distrutto già tutto. Le critiche non risparmiano nessuno: socialisti, sovranisti, cripto fascisti.
Apparentemente, Piazza degli Eroi potrebbe sembrare uno spettacolo troppo legato al contesto austriaco in cui è stato scritto, quindi che non abbia niente da dire al pubblico italiano. Tuttavia, mentre vi si assiste, le parole di critica sociale appaiono di minuto e minuto più attuali che mai, soprattutto nella descrizione del successo di populismi e fascismi.
Secondo lo stesso regista Roberto Andò l’Austria descritta da Bernhard è sia un luogo concreto sia una metafora. L’azione non si svolge in piazza degli Eroi, ma in una qualsiasi piazza europea dove si sia svolto un comizio negli ultimi trent’anni. L’Austria raccontata da Bernhard è ormai ovunque si evochi l’arrivo dell’uomo forte, “un regista che li sprofondi definitivamente nel baratro”.
Piazza degli Eroi è uno spettacolo elegante: nei costumi, nelle scenografie, nella messa in scena.
La drammaturgia è arricchita da bellissimi intermezzi musicali suonati al pianoforte nei cambi di scena.
La scenografia curata da Gianni Carluccio contribuisce alla narrazione, come fosse un interprete ulteriore. Nel primo e nel terzo atto, la scena nell’interno della casa degli Schuster è riempita dalle enormi finestre che visivamente evocano in modo costante il suicidio del Professore e le angosce di sua moglie. Da lì lui si è buttato, da lì arrivano le grida di Piazza degli Eroi che stanno facendo impazzire lei. Sul proscenio decine di paia di scarpe fanno pensare all’Olocausto, perché la fantasia va all’immagine delle scarpe tolte ai deportati, ammucchiate, ritrovate nei magazzini dei campi di concentramento. Nel secondo atto, ambientato in un piccolo parco dove le figlie e il fratello del Professore di fatto interpretano il pensiero dell’autore, vediamo alberi spogli e foglie che cadono. In un contesto romantico, si percepisce il gelo, rievocando Il giardino dei ciliegi di Checov, una delle citazioni di grandi testi che l’autore ha abbandonato nel dramma come fossero relitti.
Anche qui le sorelle Schuster vorrebbero salvare il bene di famiglia e chiedono allo zio di fare qualcosa per evitare che una strada pubblica passi per il frutteto della loro casa di campagna. Ma Robert Schuster non ha nessuna intenzione di attivarsi e salvare alcunché.
Gli attori offrono interpretazioni convincenti e molto intense. Il personaggio di Robert Schuster è magistralmente interpretato da Renato Carpentieri, con cui il regista Roberto Andò ha un sodalizio cinematografico già da anni (“Una storia senza nome”). Meritano una menzione speciale Imma Villa, che impeccabilmente regge quasi da sola l’intero primo atto nel ruolo della Signora Zittel e Betti Pedrazzi, nel ruolo della vedova, vista di recente in È stata la mano di Dio. Quest’ultima appare solo verso la fine dell’ultimo atto, per portarci, con la nuda espressione atterrita del volto, in mezzo all’inferno della sua mente, dove le voci di piazza degli Eroi acclamano festanti l’uomo forte.
Stefania Fiducia
La foto di copertina è di Lia Pasqualino ©