Anna Bonaiuto è tra i protagonisti a teatro di “Giusto la fine del mondo” di Jean- Luc Lagarce, al Piccolo Eliseo fino al 1° marzo.
“Giusto la fine del mondo”, con Anna Bonaiuto, è un dramma scritto da Jean-Luc Lagarce, l’autore attualmente più rappresentato in Francia, con Molière e Shakespeare. Fino al 1° marzo 2020 sarà in scena al Piccolo Eliseo di Roma, con la regia raffinata di Francesco Frangipane.
La storia racconta di Louis (il bravissimo Alessandro Tedeschi) che, dopo dodici anni di (volontario?) allontanamento dalla sua famiglia, una domenica decide di andarla a trovare. Deve comunicare una notizia di portata deflagrante: è molto malato e sta per morire.
La trama si intreccia con la biografia dell’autore Lagarce, morto di Aids a 38 anni. Eppure il tema di “Giusto la fine del mondo” non è la malattia, né la morte.
Si resta appesi in attesa di capire cosa è successo a Louis, cosa lo ha separato da sua madre e dai suoi fratelli, cosa lo sta portando alla morte.
Le belle scene di Francesco Ghisu ci introducono subito in un salotto borghese. A fare da sipario ci sono delle persiane veneziane, che proteggono le finestre della casa. Da queste Louis guarda da fuori i suoi familiari, che si preparano al suo arrivo in una casa dal design nordico.
È un testo molto intenso quello portato in scena dal regista Francesco Frangipane, con un piccolo cast di ottimi interpreti.
Innanzitutto, Anna Bonaiuto interpreta con la sua solita classe la madre vedova di Louis. Ricorda con nostalgia le domeniche del passato, quando i figli erano bambini e si trascorrevano giornate in gita. Sembra più preoccupata per il figlio Antoine, per i suoi sentimenti rispetto al fratello Louis. Ma si percepisce il suo dolore, di madre che ha visto un figlio separarsi da lei.
All’altezza di Anna Bonaiuto e della sua recitazione naturalissima è sicuramente Barbara Ronchi (già vista ne “Gli sdraiati“, “Fai bei sogni“, “Imma Tataranni“) che interpreta Catherine, moglie di Antoine. Meno convincente è l’interpretazione di Angela Curri, nel ruolo di Suzanne, sorella di Louis ed Antoine.

D’altronde, la difficoltà del testo di “Giusto la fine del mondo” è pari alla sua intensità. È composto più da monologhi che da dialoghi e ciò sembra aver messo in difficoltà alcuni attori, che hanno dato il meglio, invece, proprio nello scambio di battute con gli altri interpreti.
L’assenza pluriennale di Louis nella vita di sua madre, sua sorella e suo fratello sembra essere il tema della pièce. In una continua tensione drammaturgica il pubblico si chiede il motivo originale della separazione dalla famiglia. Ci si chiede, dalle reazioni dei familiari, se la separazione potesse essere perdonata o, almeno, giustificata. L’assenza di chi si è allontanato e la presenza di chi è rimasto sono due fardelli, uno sulle spalle di Luis, l’altro di Antoine. Entrambi portati con un miscuglio di senso di colpa e senso di inadeguatezza.
Il non detto aleggia nelle conversazioni tra i personaggi, che, appunto, non sono mai dialoghi, ma sempre monologhi: Catherine parla a Louis; Suzanne parla a Louis; la madre parla a tutti, poi a Louis.
Louis non interagisce mai, forse perché non riesce o non sa replicare a quanto gli dicono. Resta in ascolto, ma poi, quando parla lui, lo fa in disparte, fuori dalla casa, al pubblico.
Da qui capiamo che, mentre per i suoi familiari la separazione ha significato un allontanamento doloroso da Louis, pur mantenendo un contatto emotivo con lui, per quest’ultimo sembra essersi trasformata in un annullamento del rapporto con loro.
Egli torna a casa perché si sveglia con un pensiero: i suoi hanno smesso di amarlo, poiché non lo riescono a raggiungere, rinunciano a lui. Lo amano da vivo come avrebbero dovuto amarlo da morto. Ma sembra quasi che sia lui ad essersi reso irraggiungibile, fino alla fine.
L’unico con cui davvero parla e quasi si confronta, con cui cerca il contatto anche fisico è Antoine, il suo “antagonista” o la sua nemesi, per certi versi. È lo scambio più emozionante, così come è il personaggio di Antoine quello che davvero emoziona, grazie naturalmente, non solo al testo di Lagarce, ma anche alla bravura di Vincenzo De Michele.
Il resto di “Giusto la fine del mondo” è un trionfo dell’incomunicabilità, tipico di tantissimi rapporti familiari. La domenica insieme, anche quando ci si ritrova dopo anni, anche quando si aspetta con trepidazione quel momento, anche quando si deve dire qualcosa di importante, resta tutto non detto.
In “Giusto la fine del mondo” c’è tutto questo. Il dialogo è un flusso di parole unidirezionale che ha il solo scopo di riempire il vuoto e affrontare la paura del silenzio. In lunghi flussi emotivi ogni personaggio vomita – in maniera più o meno diretta o aggressiva – le proprie frustrazioni e insoddisfazioni.
Per questo forse è uno spettacolo che non commuove, nonostante la sua drammaticità e la bravura degli interpreti. Emoziona, ma non commuove, come certe riunioni familiari.
Stefania Fiducia
Foto di Manuela Giusto