Mi sono imbattuto l’altro giorno in questa frase sentita di sfuggita:
“La comicità di Totò era impareggiabile, è stato il più grande comico!”.
E mi sono trovato da principio d’accordissimo, salvo poi riflettere, e cambiare parere. Non ero più d’accordo, perché, proprio come in un film di Totò, mi son sentito travolto in prima battuta da allegria, ed in seconda battuta, da tristezza.
Totò non era un comico da ridere e basta, una macchietta, un giullare. Chi pensa questo non ci ha capito nulla.
Totò era ben altra cosa rispetto al semplice sorriso.
In ogni suo (e dopo ci soffermeremo sul perché di questo “suo”) film vi è sempre un significato nascosto e profondo che ogni spettatore dovrebbe cogliere. Non ci si deve fermare all’iniziale comicità, altrimenti non si è spettatori, ma semplici occhi che lasciano alle immagini e al suono la possibilità di riflettersi.
La comicità era impareggiabile, questo è fuor di dubbio, però Totò non era soltanto il più grande comico. Non è un caso se al di fuori della scena troviamo, da quel che si dice e da quello che ha lasciato intravedere, una persona totalmente differente rispetto al personaggio conosciuto da tutti.
Se poi entriamo nel dettaglio, anche qui c’è il rischio di incepparsi: era un personaggio? Chi può dirlo? L’uomo era una cosa, l’attore un’altra. O forse no? Chissà.
Spingendoci fino in fondo possiamo sicuramente notare un sottile filo comune tra il Totò uomo, così apparentemente diverso dall’idea che ognuno si è fatto di lui, e il Totò attore, visto nell’ottica più profonda e meno superficiale.
Si potrebbe obiettare (e qui a spiegare quanto di cui sopra) che il velo di serietà o, se vogliamo, di tristezza, oppure ancora, di riflessione sulla vita umana potrebbe non essere propriamente dettato da Totò ma dai vari registi che si sono alternati nei film. Per smontare tale congettura si provi a mettere qualsiasi altra figura al posto dell’unico e solo protagonista di questi film per vederne i risultati.
Si provi a comprendere perché i registi gli davano carta bianca, assecondando il suo noto metodo di recitare a braccio, quasi senza copione.
Capite perché ogni film è stato suo nel senso più intimo del termine?
Di seguito uno stralcio di una testimonianza di Franca Faldini, compagna di Totò negli anni 50, riguardo la collaborazione con Pasolini in “Uccellacci e uccellini” del 1966, a riprova della tesi in analisi.
“Basti sapere che si davano del tu, e Antonio non ha mai permesso ad alcuno di trattarlo con confidenza; vinta la prima diffidenza, quel senso di inferiorità che lui nutriva sempre nei confronti della cultura, i loro rapporti furono di grande stima. E da parte di Totò di grande soddisfazione. -Finalmente mi sento compreso- diceva”.
Trovare comprensione esclusivamente dopo una collaborazione con un altro genio non è un lavoro da attori che hanno il solo scopo di intrattenere la platea, tutt’altro: è segno di una profonda ricerca verso se stessi poiché incompresi dai più. E questo conferma il non poter essere unicamente di dominio pubblico, di massa.
Questo conferma che Totò era arte. Fresca, limpida, pulita. Era questo: far piangere col sorriso e far sorridere con una lacrima.
Proponiamo di seguito degli esempi come traccia tangibile.
Dal film “Un turco napoletano” del 1953 la frase: “Ho paura, quello è un deputato!”.
La chiamiamo ironia? Sì, ma dal sottilissimo velo pungente che è proprio il motore che spinge a riflettere. Sembra una battuta, la recita in un contesto apposito ma è tutt’altro che allegra se si va più nel profondo.
E ancora, emblematica la famosissima scena in “Toto e Peppino e…la malafemmina” del 1956 con i due protagonisti appena giunti a Milano che interrogano il vigile. La scena è senz’altro comica ma è di un tragico non indifferente.
Un tragico celato a meraviglia dalla spettacolare grandezza dei due, un tragico che è un chiarissimo testamento sociale di denuncia nei confronti di quel Sud che non sa e non vuole uscire da se stesso.
Potrei andare avanti, ma credo possa bastare così.
Allora chiudiamo con una domanda spontanea, lecita: “E se oggi ci fosse Totò?”
Beh, quel che è certo è che oggi servirebbe, tantissimo! O forse no.
No, ritratto, non servirebbe: Totò ci è servito quando c’è stato, oggi sarebbe certamente una meteora in questo mondo vuoto privo privato ed effimero, in questo presente di nulla sarebbe quasi, addirittura, fuori luogo.
Distaccandoci da un discorso nostalgico nei confronti degli anni passati, è più che mai evidente che la cultura di oggi manchi di un personaggio di spessore, ma Totò era al di là dello spessore.
Perciò prendiamoci quel Totò, del suo tempo: rivediamolo, trasmettiamolo per ore e ore in tv piuttosto che far vedere di continuo i soliti talent, le solite uguali puntate di programmi triti e stritolati.
O forse di nuovo no, dai.
Lasciamo a Cesare quel che è di Cesare: se in tv Totò viene trasmesso, salvo nei giorni di ricorrenze, sui canali così “lontani dai principali” ci sarà un motivo e quel motivo è lo spettatore, che non è mai un osservatore.
Sono antitetici.
Lo spettatore si aspetta qualcosa, l’osservatore va a cercare qualcosa.
Lo spettatore non ha bisogno di Totò, perché al massimo si fa due risate senza capirne altro e preferisce lasciarsi guardare dai conduttori televisivi che come estenuanti repliche si ripetono esattamente identici da anni.
E un po’, a quanto pare, l’aveva capito anche lui:
“Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però, per venire riconosciuti in qualcosa, bisogna morire.”
No, Totò sta bene dove è stato, nel contesto, nel tempo, nella storia.
È una figura mai nata e mai morta, che non ha bisogno di un tempo o di esser collocato poiché unico, inimitabile ed irripetibile. Potete starne certi: nonostante tutto Totò oggi c’è ancora; a teatro, al cinema, in tivù, dovunque!
C’è, ma allo stesso tempo, manca tantissimo!
Lorenzo Romano