Londra: la forza lavoro è donna e indossa l’hijab
A Londra trionfa il hijab in tutte le sue versioni. Mentre in Italia ci affanniamo con i soliti sofismi sull’intimità delle culture altrui, sulla realtà celata dietro all’immagine, qui crolla miseramente ogni posizione ideologica.
La verità è che la forza lavoro circolante nella City è donna e veste in hijab.
I soliti polemici parleranno di sottomissione chic, come lessi tempo fa su un editoriale de Il Foglio, ma il pragmatismo dei londinesi non concede spazio alle speculazioni sociologiche e mediatiche dei nostri esperti. Tanto più che proprio enfatizzando determinati comportamenti sociali si indirizza il pensiero delle masse e questo mi rende diffidente verso i detrattori del “burkini“.
La verità è che mi sono sentita a mio agio a farmi consigliare il colore del rossetto da questa ragazza da non subire nessun impatto emotivo.
Le donne in questione, in maggioranza giovani, svolgono tutti gli impieghi comuni che muovono l’economia e i servizi di una città immensa e cosmopolita come questa. Un esercito di cameriere, impiegate, commesse di grandi magazzini, giornaliste abbigliate in tutte le versioni del velo islamico nelle sue diverse tipologie e impreziosito in alcuni casi da vere fashioniste.
Eppure il british style rimane inossidabile nella sua particolarissima atmosfera natalizia, fiero di resistere nei secoli e per nulla intimorito dall’umanità circostante.
Attentissime ai particolari scoperti del viso le nostre “hijabiste” fanno uso del maquillage più alla moda: un sapiente contourig del viso, ciglia finte, smoky eyes, un trucco sofisticatissimo che rivela una femminilità intensa e definita. Si relazionano con competenza, affabilità, naturalezza.
Trattiamo sul prezzo, chiedo consiglio sulle taglie. Nella grande catena di abbigliamento Primark sono l’ottanta per cento delle lavoranti e tutte al di sotto dei 30 anni.
Sinceramente, penso alla nostra Italia dal grande cuore che fa di tutto un grande plastico da portare in televisione, sviscera situazioni e organizza crociate ma non consentirebbe mai una donna in hijab di partecipare alla vita economica del paese.
Si solleverebbero dibattiti lunghissimo su crocifissi nelle scuole e presepi e sul pericolo del ritorno del felice Saladino, su quello che avviene nelle loro case, sull’interpretazione ortodossa o liberale del Corano e sull’Iran, sulla democrazia oscurata dagli ayatollah.
Penso in un attimo che la civilissima Europa ha un tasso di femminicidi vergognosamente elevato e che addirittura i Paesi come Danimarca e Norvegia hanno una percentuale di omicidi nei confronti delle donne più alto che in Italia.
E allora l’aiuto concreto alle donne, qualsiasi sia il loro retaggio, va dato coinvolgendole nella vita sociale, senza limitazioni aprioristiche, in modo che possano sviluppare gli strumenti per operare con una coscienza autonoma ed essere libere dal bisogno. Per me la libertà è quella che appare agli occhi con naturalezza, senza celata presunzione di innocenza o colpevolezza: rischierei la paralisi del pensiero.
Antonella Rizzo