Creata a quattro mani da Hagai Levi e Sarah Treem per Showtime, The Affair ha per sottotitolo Una relazione pericolosa. Quello di cui racconta è infatti un amore, il più banale e clandestino, che investe come un’onda le vite di famiglie già lacerate, spezzate, nascoste dietro la maschera del perbenismo di provincia o dei sorrisi a colazione.
Composta da quattro stagioni in attesa della quinta – l’ultima – la serie si è aggiudicata due Golden Globe nel 2015 e uno nel 2016. Ha visto rinascere dalle ceneri talenti inchiodati a un passato ingombrante, consacrando, d’altra parte, interpreti già destinati al firmamento delle celebrità.
Ne segna tanti di punti di svolta The Affair, inserendosi con grande agio nel novero di una narrativa seriale che, da qualche anno, è in pieno stato di grazia. Lo fa servendosi – appunto – di un cast di prim’ordine, di una tecnica narrativa svecchiata e riplasmata, di un plot basilare che rivela, in ogni sfumatura, tutta la sua grandezza. A cominciare dagli spazi che occupa.
È stato Marc Augé a ribattezzare “non-luoghi” quegli angoli di mondo sottratti alla storia, all’identità, alle relazioni – e non nell’accezione precapitalistica del termine. “Non luoghi” sono hall e stanze d’albergo, supermercati, stazioni ferroviarie e aeroportuali. Spazi di transito, in cui si è se stessi nell’invisibilità, con un documento a testimoniare il proprio passaggio. La propria esistenza. Non può nascere incontro nei “non luoghi”, gli individui si sfiorano senza mai toccarsi e l’interazione – qualora prevista – è un amore all’ultimo sguardo di benjaminiana memoria.
La Montauk di The Affair – quella della prima stagione – è un tripudio di diner e camere d’albergo con la moquette alle pareti.
Solo che qui l’amore mancato si trasforma in un uragano, divelle case con solide fondamenta, distrugge stabilità inattaccabili ed equilibri precari. I “non luoghi” mutano in luoghi, e assorbono l’anima dei protagonisti, ne succhiano la linfa che li rende vivi e al contempo li piega. E non c’è teoria di Augé che tenga dinnanzi alle imponderabili conseguenze dell’amore.
Il primo incontro tra Noah (Dominic West) e Alison (Ruth Wilson) avviene infatti in una tavola calda, il Lobster Roll, dove lei lavora come cameriera. Lui ha ambizioni da scrittore, un sorriso da uomo piacente e una moglie ricchissima (Maura Tierney) che gli ha dato quattro figli. Si reca a Montauk a casa dei suoceri, benestanti e snob con le porte aperte al successo, forse anche al suo. Lei invece è una squattrinata ragazza in crisi, con un marito bello ma gelido (Joshua Jackson), irrigidito nel cuore dalla perdita di un figlio che ha spezzato le loro vite. Noah ha tutto e Alison invece non ha niente.
È alla luce di questo che la frase da lei pronunciata ha il sapore inquietante del tragico presentimento: Welcome to the end of the world.
Perché la fine del mondo, per Noah ed Alison, è veramente vicina e si consuma, nel suo punto d’origine, tra i tavoli laccati di un diner negli Hamptons. I due possiedono gli strumenti per arginarla, voltarsi dall’altra parte e sottrarsi allo schianto, ma non ce la fanno. Cadono, e all’inizio è un caos da cui nasce una stella che danza tra le spiagge selvagge e gli hotel affittati per l’amore nascosto. Ma già la cattura, il rapimento dei sensi, segue due strade diverse se a raccontarlo è lei, oppure lui.
Ed è qui la grande genialità di The Affair, che riscrive le regole della narrazione giocando col tempo. Attingendo a quei flashback padroneggiati da Kurosawa in Rashomon mischiati alla verbosità di Scene da un matrimonio di Bergman.
La storia di Alison e Noah è infatti rievocata andando indietro nella memoria, sollecitata questa, a sua volta, da zelanti commissari di polizia. È un interrogatorio, difatti, a permettere di rievocare tutto, dal principio di paradiso sino allo scoppio dell’apocalisse. E i ricordi dell’uno e dell’altra si fanno nitidi ma sbavati, si sovrappongono e cozzano per differenze macro o microscopiche che mettono l’osservatore dinnanzi ai misteri della mente umana.
Chi mente? Chi gioca? Chi ammette la realtà dinnanzi alla giustizia e, soprattutto, dinnanzi a se stesso?
Le testimonianze dei due conducono lo spettatore lungo il languido sentiero dell’itinerario amoroso, che si spoglia della “semplice” aegritudo amoris di Cappellano per seguire – in ossequio ai tempi – il percorso tracciato dai Frammenti di Barthes. Alla «cattura» segue la «dolcezza dell’inizio, il tempo dell’idillio». Poi arriva il «“seguito”». Ovvero «La sequela di sofferenze, dolori, angosce, sconforti, rancori, impacci e tranelli» che conducono al «decadimento» che coinvolge l’altro, se stessi, e l’intero incontro di anime. È l’atavica tempesta dell’amore, che quando è the affair investe anche terze e quarte parti, fa strage di sicurezza e finisce per incancrenire ferite che non rimargineranno mai.
Il crimine da cui scaturisce l’indagine finisce per essere così il punto di non ritorno di un percorso pericoloso, ma funge al contempo da espediente per illustrare le conseguenze di una passione che scuote memoria e realtà, percezione e vissuto.
Nelle stagioni successive, che non a caso chiudono un cerchio, la narrazione si sfalda per seguire anche i punti di vista di Helen e Cole, i coniugi traditi e devastati di riflesso dall’onda della passione cieca. E le emanazioni memoriali si moltiplicano, stratificandosi fino a non distinguere più tra sogno e reale, passato e presente. Noah scriverà persino un libro sul suo amore con Alison, rompendo ancora di più gli equilibri di una situazione precaria e confondendo – volutamente o forse no – il sentimento vissuto con la pagina scritta.
C’è tanto di quel lavoro complesso in The Affair che un solo sguardo non esaurirebbe nemmeno metà dei suoi frammenti di storia. Vi è l’idea di letteratura come apprendistato alla vita, la meta narrazione che si intreccia con le teorie del tempo filmico e l’antropologia dei mondi contemporanei, colta nelle abitudini di vita quotidiana cui non si fa nemmeno caso.
Ma soprattutto ci sono le conseguenze dell’amore. La sua forza straripante che si porta dietro pezzi di anima e ossa, equilibri mentali saltati e lacerti di vita che si cerca di rimettere in piedi. Una forza che fa poi a brandelli il sentimento stesso, vissuto, consumato, e poi spolpato. Finché non resta che qualche svogliata carezza, nella rinnovata convinzione di dover ricominciare daccapo.
Ginevra Amadio
Riferimenti bibliografici
Augé M., Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 2008.
Barthes R., Frammenti di un discorso amoroso, Torino, Einaudi, 2001.
Benjamin W., Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962.
Busni S., L’amore ai tempi della Complex Tv, “Fata Morgana Web”, 11 novembre 2017.
Cappellano A., De Amore, Milano, SE, 2017.
Compagnon A., Il demone della teoria, Torino, Einaudi, 1998.
Sallustio S., The Affair, la recensione della terza stagione, “Anonima cinefili”, 2018.