Vi potrei parlare degli scacchi, dei costumi, della scenografia o della magistrale fotografia, ma La regina degli Scacchi non è solo questo, anzi.
È la storia della partita più importante: quella con la nostra vita. Non importa da dove veniamo, chi sono i nostri genitori, quali traumi abbiamo affrontato: importa dove vogliamo arrivare e se siamo o meno consapevoli di come farlo.
La regina degli scacchi è tratto da una storia vera?
La miniserie Netflix si basa sul romanzo del 1983 The Queen’s Gambit scritto da Walter Tevis. Il titolo si riferisce al Gambetto di donna, mossa degli scacchi. La traduzione in italiano ha perso il gioco di parole, ovviamente. Tevis era un grande appassionato di scacchi e sicuramente nel romanzo ha portato la sua competenza e passione, ma oltre a questo non c’è niente di autobiografico.
La trama
Ambientata a cavallo tra gli anni 50 e gli anni 70, è una miniserie davvero da non perdere. Beth Harmon, interpretata dalla magnetica e bravissima Anya Taylor-Joy, rimane orfana da bambina e viene accolta in un orfanatrofio, dove farà amicizia con Jolene, orfana come lei. In questi anni Beth entrerà in contatto con gli psicofarmaci, da cui sarà dipendente per tutta la vita. Entrerà in contatto, però, anche con gli scacchi. Spiando il custode Mr. Shaibel, imparerà a giocare a scacchi prima nella sua testa e nelle sue visioni, poi sedendosi al tavolo con lui. Beth Harmon viene immediatamente riconosciuta dalla comunità locale come genio degli scacchi, ed inizierà la sua brillante carriera di scacchista. Una volta adottata da una coppia che presto si separa, entra nel mondo reale e inizia la sua ricerca di equilibrio tra la sua grande mania e le amicizie, i ragazzi, i vestiti, la condivisione. La mamma adottiva diventa la sua manager e Beth viaggia per tornei e ovunque viene accolta come un fenomeno. La parabola ascendente della nostra scacchista la porterà alla partita finale in Russia, al tavolo con l’ammiratissimo e temutissimo campione del mondo Borgov.
Gli amici e gli amori della regina degli scacchi
La vita di Beth si dipana lungo un doppio registro: da una parte il rigore, la dedizione, lo studio, la solitudine, l’allenamento, la voglia di vincere; dall’altra le sue dipendenze, l’alcol, gli psicofarmaci, la tendenza all’autodistruzione e all’isolamento tossico. In questo tourbillon emotivo, amici e amanti si avvicinano a Beth, alcuni abbagliati dalla sua luce, altri con sincere intenzioni di supporto. La sua vita sregolata rischierà di boicottare le sue relazioni affettive, perché in fondo Beth ha un solo grande amore: gli scacchi. Tutti gli altri sono un contorno, almeno fino alla partita con Borgov.
Genio e sregolatezza
Io non credo che si debba parlare necessariamente di questa dicotomia per parlare della protagonista. Beth è figlia di una donna con problemi mentali, che decide di schiantarsi contro un camion con la figlia a bordo. Beth sopravvive a quell’incidente e cerca di sopravvivere anche per tutto il corso della sua vita, con una capacità di adattamento e di isolamento dalle emozioni quasi doloroso da vedere. Sicuramente la somministrazione di psicofarmaci ai minori in orfanatrofio non era proprio un’idea geniale e Beth ne pagherà le conseguenze per tutta la vita. Ma non è un genio perché si droga, così come non è un fenomeno solo perché donna.
La femminilità di Beth
Dotata di un volto particolarissimo (a me ricorda Bjork) e un fascino algido, la sua crescita come scacchista viene accompagnata da una sempre maggiore consapevolezza femminile, ma è tutto molto didascalico e mai strumentale. La stima verso questa grande campionessa è oggettiva, in un gioco in cui l’avvenenza o il genere non contano nulla, contano solo le mosse e la strategia di gioco.
Nonostante questo, gli abiti di Beth sono meravigliosi e fedelissimi nelle linee e nei colori ai decenni che attraversa. Non solo, accompagnano a livello cromatico gli stati d’animo delle varie fasi della protagonista. I costumi della miniserie Netflix La regina degli scacchi e di The Crown sono esposti nella mostra virtuale organizzata dal Brooklyn Museum, che potete ammirare online.
Beth è fuori dagli schemi, è una donna che si mantiene vincendo ad un gioco prettamente maschile, gira il mondo, vive da sola, vede chi vuole e comunque non perde (quasi) mai l’obiettivo finale. Obiettivo che riuscirà a raggiungere grazie ai suoi amici, che si riuniscono per aiutarla a distanza, in una sfida che diventa anche culturale: USA vs Russia.
La lezione è chiara: la vita può fare davvero schifo a volte, ma ognuno di noi viene al mondo con una manciata di strumenti e potenzialità da reinvestire lungo la propria strada. Obiettivo? Realizzare sé stessi e raggiungere un equilibrio che possa somigliare alla felicità.
Non da soli, da soli si perde.
Micaela Paciotti