Gomorra: la serie 3×03/3×04, della famiglia non ci si può fidare

gomorra: la serie 3x03/3x04

Forse, il vero difetto di Gomorra: la serie, tra i pochissimi, è la programmazione.

Sono passati anni, e tante serie tv, ma non capisco e non capirò mai il motivo per cui Sky trasmette due puntate insieme. I modelli sono due, quello recentissimo di Netflix di distribuire interamente una serie, oppure quello classico (che preferisco, non solo per abitudine) di mostrare un episodio a settimana. Sky Italia invece, forse basandosi sulle fiction delle reti generalisti, trasmette due episodi consecutivi a settimana.

Una scelta che io continuo a reputare pessima. Lo è perché, cinicamente, così facendo la serie finisce in minor tempo, un danno sia per gli avidi spettatori sia per la rete stessa che potrebbe approfittare di maggiore guadagni spalmati nel tempo. E lo è soprattutto dal punto di vista narrativo, con due episodi spesso diversissimi tra di loro mostrati insieme, non dando il tempo allo spettatore di dare il giusto peso agli eventi, a maggior ragione con una serie indaffarata come questa.

La dubbia scelta di programmazione è pesata ancora di più questa settimana. Infatti Gomorra: la serie ha sfornato due episodi di altissima qualità, che avrebbero meritato maggiore ribalta singolarmente.

La 3° puntata, non ho dubbi a dirlo, è probabilmente una delle migliori della serie intera. Completamente dedicata a mostrare Ciro in Bulgaria nel suo esilio volontario, è un fortissimo trattato sull’impossibilità di scappare dal male, e dalle sue conseguenze, anche in modo non solo volontario. Non è una trama originalissima, lo stesso regista dell’episodio Claudio Cupellini aveva trattato un tema simile in Una Vita Tranquilla. Ma ciò che differenzia ed eleva la puntata, appunto, è che stavolta il destino o la casualità non c’entrano.

Ciro era fuggito da tutto e tutti, poteva rifarsi una vita completamente nuova, e diversa, aveva tale possibilità impensabile. E invece, pur lontanissimo da casa, ha scelto di proseguire la vita criminale. Ad essere cambiata è solo la lingua e la location. Lo ha deciso lui, e nella scelta c’è sia una rassegnazione al male inestricabile, già visto nei primi due episodi, sia quel senso di colpa tipicamente cristiano per cui è giusti pagare i propri peccati. Lo stesso Ciro lo aveva detto, lui doveva pagare. Non cerca redenzione, ma penitenza, e il suo ritorno a casa nel finale è l’apice massimo.

L’episodio 4 in un certo senso prosegue sulla medesima lunghezza d’onda, ovvero l’impossibilità di liberarsi dal male. Genny potrà fare ciò che vuole, immaginare ciò che vuole, credere di dominare e cambiare vittime o carnefici, ma rimarrà sempre incapace di diventare ciò che era suo padre. Se Ciro sceglie il proprio destino, Genny invece ne è pienamente vittima, e non se ne rende conto. Vorrebbe tirarsi fuori dalle guerre, pensare solo ai profitti, ma sono le sue stesse azioni a scatenare guerre, consapevolmente o meno.

Genny e Ciro, credendo in concetti opposti, continuano invece ad incrociarsi e rappresentare lo stesso mondo. Dopotutto, per entrambi, dalla famiglia non si scappa.

Genny lo dice chiaramente, è proprio della famiglia che non ci si può fidare, Quella di sangue per lui, e per Ciro quella invece rappresentata dalla malavita. Il duplice livello di lettura è lapalissiano, ma ugualmente efficace. Infatti Gomorra: la serie ha il coraggio di rigirare totalmente un concetto basilare di tutte le crime stories. Se infatti la famiglia ha sempre significato la cosa più importante, la fondamentale architrave su cui basare le poche certezze importanti – pensiamo a I Soprano nel merito – Gomorra: la serie invece ribalta tale assunto, e mostra come proprio i legami familiari, nel loro doppio significato, siano invece le sabbie mobili più pericolose.

Gomorra: la serie fa il salto di qualità perché non è solo una serie crime, oppure un racconto ammonitorio sul male. Bensì un racconto personale, individuale, su anime singole che sono trasformate, e quindi distrutte, dalle forze circostanti. Forse proprio in questo la serie si va a ricollegare splendidamente al lavoro non solo d’inchiesta, ma soprattutto sociologico, di Roberto Saviano.

Continuano ad esserci difetti congeniti, come ad esempio l’eccessiva fretta. I fatti del 4° episodio potevano svolgersi in più puntate, il ritorno sulla scena di Scianel avrebbe meritato più ribaltata, come immaginato la scorsa settimana la storyline di Gegè è iniziata e finita in un lampo. Ma ormai siamo abituati a questa velocità, e la possiamo perdonare se qualità complessiva si mantiene così alta. Anche da un punto di vista estetico: con i suoi colori, con i suoi ritmi compassati, il 3° episodio è probabilmente uno dei meglio fotografati nella storia della serialità italiana, girato con quell’avvolgente compattezza del cinema autoriale europeo.

Alla terza stagione, Gomorra: la serie è un prodotto maturissimo. Finora non ha sbagliato un solo colpo. Confidiamo vada avanti così, e le premesse per farlo ci sono tutte.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

2 Commenti

  1. Un grande affare per i produttori che puntano tutto sulla violenza e l’ignoranza profonda di un pubblico di decerebrati, gli stessi che consumando le unghie sul tablet non sono più in grado di distinguere la merda di gallina dal risotto alla milanese.

    • Ciao Roberto, prima di tutto grazie per il commento. Poi, perdonami ma, secondo me, anche questa è una opinione apparentemente superficiale, che non coglie i sottotesti della serie, quanto quella di chi, tu accusi, non distingue qualcosa da altro. Che poi la serie sfrutti determinati elementi è palese, ma proprio così facendo si conquista una platea per poi approfondire altro. Come ad esempio, appunto, nei due ottimi episodi qui recensiti sotto i quali hai commentato: non so se la tua scelta sia stata casuale ma, me la cavo con una battuta, potevi scegliere episodi peggiori.

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