Gomorra: la serie 3×01/3×02, qui si muore e basta

Gomorra: la serie 3x01/3x02

Si riprende esattamente da dove eravamo rimasti, perché prima di andare avanti Gomorra: la serie vuol chiudere qualche parentesi.

La scelta è giustissima, perché la morte di Pietro Savastano per mano di Ciro Di Marzio a conclusione della seconda stagione aveva lasciato più punti interrogativi che altro. Ciò che ne consegue è un classico della serie: altre pallottole, altro sangue, altri morti.

Non può andare diversamente, purtroppo. Il dialogo chiave tra Gennaro e Patrizia ci dice chiaramente che nel mondo di Gomorra non si vive, si muore e basta. Queste frasi andrebbero fissate in tutte le case di coloro che prendono la serie, ed i suoi personaggi, come modello. C’è chi ritiene Genny o Ciro dei miti, ma in realtà dovrebbe ricordare che Gomorra: la serie mostra solo e soltanto le conseguenze della scelta mafiosa, non la ricchezza o gli aspetti cool. La violenza non è estetizzata, i protagonisti non sono mai eroici.

Questo, indubbiamente, rimane l’aspetto migliore della serie anche entrando ora nella terza stagione. Anzi, se possibile l’aspetto è ancora più netto e soffocante, sempre più evidente. Gennaro, Ciro, Patrizia, anche il nuovo scenario di Roma, tute figure che hanno perso qualcosa, circondate dalla morte, e che provano con le unghie e con i denti a rimanere aggrappati a non si sa bene quale utopia criminale, scivolando sempre più. Gomorra: la serie raffigura un vortice, un precipizio patetico e disperato. I personaggi sono sempre più dubbiosi e travagliati, le fette da spartirsi sempre più ridotte.

Si conferma positivissima, quasi all’avanguardia, la scelta fatta ad inizio serie di non inserire personaggi positivi, o figure delle forze dell’ordine: ciò avrebbero soltanto creato contrapposizioni manichee e banali, delle squadre da tifare, così invece nessuno può salvarsi.

Se si confermano i pregi, però, si ribadiscono anche alcuni difetti congeniti.

Gomorra: la serie va costantemente di fretta, non c’è tempo di respirare. Il suo pubblico ha delle aspettative, ma la narrazione non può sacrificarsi al fan service. Al di fuori del trio centrale, tutti gli altri non sono personaggi ma pedine. Come sempre, la serie consuma nello spazio di un’ora scarsa interi archi narrativi che potrebbero essere sfruttati, e quindi approfonditi molto meglio, in più episodi. Nella 3×01, la vendetta verso Malammore inizia e finisce nel momento in cui è annunciata. Nella 3×02, conosciamo questo Gegè ed a fine episodio la sua storia è già completamente ribaltata.

Gli episodi funzionano comunque, ma non c’è tempo per conoscere i personaggi, dare importanza alle loro vicende, e quindi lasciare un impatto effettivo quando qualcosa succede. Ci aspettiamo solo e soltanto che muoiano, e poi si passa a quello successivo con la medesima formula.

Il problema, appunto, è la ripetitività delle soluzioni narrative. Un difetto anche di Suburra: la serie, e quindi vien da pensare che ci sia l’inesperienza degli sceneggiatori nostrani di fronte al modello episodico della serialità televisiva. Si chiude la guerra tra clan, si apre la guerra tra famiglie. Genny esce dall’ombra del padre per mettersi in proprio, ora è prigioniero della rivalità col suocero. Forse Gomorra ha smesso di sorprendere, o forse il suo pubblico è diventato troppo bravo ad anticipare le mosse.

In mezzo a questa domanda, comunque, Gomorra si conferma a mani bassissime la miglior serie tv italiana. Per realizzazione tecnica, per naturalezza della recitazione, per audacia nei temi e nei soggetti. La ripetitività che ci piace, dopotutto, è quella dell’alta qualità.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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