Passato e futuro. Non sono solo parole, concetti, stati d’animo o semplicemente fatti temporali. Nel mondo di Gomorra: la serie, sono in realtà due tra i più importanti temi esplorati. Costantemente.
Questo inizio di 4° stagione è probabilmente l’apice di questo dualismo temporale e mentale. Lo è nella struttura, naturalmente, poiché il primo episodio riprende esattamente da dove era terminata la stagione scorsa, mentre il secondo episodio ci catapulta, con un salto temporale improvviso, ad un anno dopo quei fatti.
Ma, più di tutto, lo è nella rappresentazione del mondo e dei personaggi di Gomorra: la serie. La raffigurazione perfetta, senza dubbi, è nel ritratto di Gennaro Savastano. Se nelle scorse stagioni Ciro Di Marzio è stato la figura più tragica in assoluto, soprattutto quello più consapevole dell’inevitabilità del proprio tragico destino, adesso è Gennaro ad ereditare tutto il peso delle azioni fatte. Non solo perché è praticamente l’unico personaggio rimasto dalla prima stagione, ma perché il suo arco narrativo, già complesso, adesso esce fuori definitivamente dal mondo di Secondigliano. Ma quel mondo, e questo è il punto, non esce da lui.
Gennaro Savastano in questi due episodi è l’uomo moderno, nel senso più intrinseco e spregiudicato del termine. Un uomo mosso dagli affetti personali e dall’ambizione, che soffoca gli impulsi d’orgoglio ma, al tempo stesso, non sa frenarsi davanti agli ostacoli. Vittima e carnefice. Perché è lui a disegnare il mondo che vuole, ma lo fa ad immagine e somiglianza del mondo che ha sempre e soltanto conosciuto.
Il difetto della serie, descritto tante volte, rimane ancora: andare molto di fretta e giocarsi velocemente storie che andrebbero meglio approfondite. Ma il punto focale, nonostante la fretta, è raggiunto efficacemente: Gennaro è un “cattivo” che consapevolmente prova a slegarsi dal suo passato, ma quel legame di sangue è talmente forte, e permeato nei giudizi delle altre persone, da non lasciar spazio ad alternative. L’unica soluzione è abbracciare la maledizione della sua provenienza, se tutti vogliono che sia il cattivo della storia, e convivere con la sua natura.
Il futuro di Gennaro Savastano è il suo stesso passato. Ma per Gomorra: la serie far convergere necessità del passato e ambizioni del futuro sembra la miglior strada percorribile.
Lasciarsi alle spalle Ciro Di Marzio è la prova inconfutabile del pregio della serie: rompere lo status quo. Già nel primo episodio, con le avvisaglie dell’ennesima guerra criminale (che comunque più avanti esploderà, è anche normale quando è quello buona parte degli spettatore vuole), il rischio ripetitività era dietro l’angolo. Invece, con lo spostamento geografico di Gennaro, la fine di Ciro, le piazze criminali lasciati a personaggi nuovi o, se già visti, finora poco esplorati, Gomorra: la serie sembra aver brillantemente ricominciato daccapo.
Con coraggio e intelligenza, la serie pare in grado di rigenerarsi senza abbandonare i suoi punti cardini di forza. Invece di girare su sé stessa, come fanno altre serie italiane, Gomorra espande i propri confini e allarga le proprie indagini. Va bene a chi cerca lo spettacolo puramente crime. A chi rimane affascinato dagli elementi essenziali di scrittura, regia e recitazione. E soddisfa chi ricorda le pagine di Roberto Saviano da cui tutto è nato (seppur si spera che aver toccato la Terra dei Fuochi non rimanga solo un pretesto narrativo).
Questo inizio di stagione conferma ciò che sapevamo: al netto di taluni difetti, Gomorra: la serie rimane un prodotto d’avanguardia nel panorama italiano.
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Emanuele D’Aniello