Game of Thrones 8×05, la fine di tutto

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Quando due anni fa, nel commentare l’ultimo episodio della scorsa stagione, scrissi la frase “Sono regine destinate a governare sulla cenere” non pensavo al suo senso letterale.

E invece, adesso, devo intendere proprio il senso letterale. Sono stato involontariamente profeta.

Perché ormai solo la cenere è rimasta. Quella vera di King’s Landing, la capitale dei sette regni messa a ferro e fuoco, disintegrata. La cenere dei rapporti umani, col gesto d’ira di Daenerys che ha azzerato ogni fiducia tra quest’ultima, Tyrion e gli Stark. Infine la cenere nel senso intrinseco della finalità del potere, la cui forza attrattiva come sempre corrompe e distrugge qualsiasi cosa, qualsiasi essere umano, qualsiasi ideologia.

La storia di Game of Thrones, nel suo nocciolo, è sempre stata questa. Una galleria vastissima di pregi e difetti umani tutti declinati al raggiungimento del potere. Qualunque esso sia o come lo vogliate identificare, non solo col trono.

Poi c’è chi quel trono lo vuole più degli altri, ovviamente. E che Daenerys lo volesse più di ogni altra cosa, più di ogni altro personaggio (molto più di Cersei, cui ha sempre più interessato la sopravvivenza della sua famiglia) lo sappiamo fin dal primo episodio. Onestamente gli eventi di questo episodio non mi sorprendono più di tanto. Non solo perché già da tempo ho definito Daenerys un villain, ma perché tutto il suo percorso ha condotto a questo preciso gesto.

Daenerys è un personaggio nato e cresciuto con un solo scopo: conquistare il trono. Lei è stata allevata sempre e solo così, pensando che a lei spettasse il potere, lei e nessun altro. La liberazione degli schiavi non era un gesto solo di pietà, ma un’affermazione del suo potere per ottenere quell’amore del popolo fondamentale per la prosperità di un sovrano. Quando, varcato il continente, dopo aver forgiato un sistema di convinzioni e credenze incrollabili, le è stato portato via prima l’amore del popolo, poi le uniche persone che riuscivano a capirla e trattarla umanamente (Jorah e Missandei), e infine anche il suo divino diritto di discendenza al trono con la scoperta della vera identità di Jon Snow, non le è rimasto più nulla.

Tutto ciò che ha sempre creduto è stato spazzato via. Questo in un personaggio già di per se spesso arrogante e impulsivo, convintissimo in se stesso, mai restio ad usare le cattive maniere (volete chiedere a Sam Tarly?) è una miccia decisiva.

Il sangue maledetto dei Targaryen non ci dice che Daenerys debba per forza essere pazza. Ma che quel sangue dà la possibilità di esseri pazzi, dà la chance di comandare draghi per sfogare la pazzia. Daenerys è sia vittima sia carnefice del proprio sangue, ne ha subito l’influenza dannata e ne ha cavalcato l’onda. Lei è il villain definitivo, ma al tempo stesso è il personaggio tragico per antonomasia.

E di tragicità se ne intende bene un’altra donna, Cersei.

Lei ha passato lo scettro a Daenerys, pertanto le ha passato la maledizione del potere. Smessa la corona, abbiamo visto Cersei per ciò che veramente è: un essere umano. Ho sempre definito Cersei come il vero e più grande villain di Game of Thrones, in realtà ho sempre sbagliato, me ne sono accorto solo ora.

Ogni gesto di malvagità di Cersei, persino i più atroci, sono stati reazioni e difese. Raramente il suo è stato il primo passo. Cersei è nata in una famiglia per la quale l’unione e il potere erano praticamente tutto, e mentre i maschi potevano decidere come declinare questa condanna, lei è stata costretta a essere usata come merce di scambio in matrimoni senza amore, vedere i figli morire e mai avere un attimo per non pensare ai nemici.

Tra Daenerys e Cersei la differenza è stata la scelta, ma entrambe sono tragiche perché altri (gli uomini) ha scelto ben prima per loro come vivere. Fin da quando sono nate.

Chi accusa la serie di misoginia ha colto veramente poco della complessità di scavo nel ruolo della donna che Game of Thrones ha fatto. Un’analisi che andrebbe, semmai, presa in esame come metafora dei tempi che stiamo vivendo e, fortunatamente, tentanto di cambiare.

Che poi si potrebbe, ovviamente, parlare ancora della storia. Della battaglia, dei personaggi che ci hanno lasciato, del CleganBowl. Ancora, si potrebbe parlare del ripensamento di Arya, delle conseguenze per il Nord, di quanto ci aspetta nell’ultima puntata.

Ma, pur essendo alla vigilia della fine di una serie irripetibile, pur avendo vissuto una puntata da incorniciare nella storia della tv, era giusto fermarsi un attimo a riflettere sull’essenza, sul cuore tematico della serie, sull’analisi della genesi della tirannia che tanto si lega ai tempi attuali, sui percorsi di due personaggi femminili indimenticabili che hanno incarnato, nel bene e nel male, tutto quanto Game of Thrones ha raccontato in questi anni.

Per tirare le somme e stupirci possiamo aspettare l’ultimo episodio.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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