È tutta una questione di sesso, Bronn ha ragione, e non lo scopriamo certo ora.
Game of Thrones è la serie che ha inventato la sexposition, dopotutto. Game of Thrones è anche la serie che, parlando di onore, in realtà parla di ormoni, di istinti, di decisioni animalesche prese con lo stomaco e non col cuore o con la testa. È una serie che racconta e mostra continui giochi di potere a tutti i livelli, e sappiamo bene quanto il sesso sia potere. Il sesso è anche dominio, controllo, affermazione, egocentrismo, voglia di essere superiore.
Daenerys che entra nell’arena in sella al suo drago, davanti ad alleati e nemici, gioca a vedere chi ce l’ha più lungo.
Cersei che impone condizioni, si ritira e poi ritorna solo per diventare indispensabile ai suoi stessi nemici, gioca a vedere chi ce l’ha più lungo.
Le sorelle Stark che litigano, tramano, e poi si ricompattano pubblicamente, giocano a vedere chi ce l’ha più lungo.
E per tutti, sempre e comunque, vale lo stesso scenario: lo fanno come show, davanti ad altre persone, per essere viste. Dopotutto è un gioco principalmente di apparenze, il potere si ha convincendo prima gli altri di averlo. In sostanza, sono ancora tutte deboli, perché nessuna comprende ancora che l’unico modo per mantenere il potere è un progetto a lungo termine. Sono regine destinate a governare sulla cenere.
Fortunatamente, solo appariscente non è questo lungo e bellissimo finale di stagione. Una puntata in cui azione non vuole dire grande battaglia, ma schemi e contro schemi.
Una puntata che, nella fantastica sequenza d’apertura a King’s Landing, ci ha restituito la bellezza dei dialoghi e della recitazione. Gli incontri e gli scontri hanno rappresentato la forza emotiva del racconto, a cominciare dal duello verbale ed emotivo tra Tyrion e Cersei che mancava da troppo a lungo. Senza l’assillo del fantasy a tutti i costi (tranquilli, tra poco arriviamo al finale), Game of Thrones dà come sempre il meglio di sé nella calma, nelle parole, nella trattazione psicologica degli archi emotivi. La perla è probabilmente la scena finale di Littlefinger, il quale, come tutti i tessitori dietro le quinte, svela la sua natura estremamente patetica: per loro l’idea del potere, l’illusione di averlo muovendo i fili, è più eccitante di avere potere concreto, così allettante fino alla fine, fino a fregarsi con le proprie mani. Come un giocatore d’azzardo malato, esattamente.
E allora è sugli aspetti più “facili” che anche una puntata finalmente così compatta finisce per accartocciarsi. Gli autori si sono messi in un angolo da cui non possono vincere nel disegnare il nuovo Bran, poiché come tutte le figure onnipotenti è impossibile da gestire con coerenza: o vede tutto, o non può vedere solo ciò che fa comodo alla narrazione, risultando così inutilmente stupido. Ed il finale, pur col budget inusitato per gli standard tv che la serie ha a disposizione, ci ha regalato alcuni tra i peggiori effetti speciali visti finora: quanto è risultato ridicolo il Night King sul suo bel drago zombie? Con uno spazio irrisorio dedicato alla caduta della Barriera, che dovrebbe esser un evento più che fondamentale.
Game of Thrones affronta l’ennesima pausa prima del rush finale, già attessissimo ovviamente.
Non sappiamo cosa ci aspetta. Vedremo se la storia sarà ciclica, con un nuovo incesto esattamente come quello dei Lannister da cui tutto è partito. E soprattutto vedremo come reagirà Daenerys quando scoprirà di non essere più la prima erede della sua famiglia e legittima pretendente al trono, nella più importante bomba sganciata da questo finale.
La speranza, dopo una stagione in cui i punti alti sono stati davvero ottimi, è che il finale si all’altezza. Game of Thrones, ormai entrato nel pantheon televisivo, se lo merita. Così come i suoi tantissimi fans.
.
Emanuele D’Aniello
[…] fonte: Culturamente […]