Fargo 3×02/3×03, siamo vittime o artefici del caos?

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Fargo non è solo il titolo della serie, naturalmente, ma un vero e proprio stato mentale.

E con questo mi riferisco all’ispirazione nata dal cinema dei fratelli Coen, e soprattutto dalla totale aderenza alla loro filosofia.

Gli episodi 2 e 3 in questione lo hanno chiarito più di tutto il resto, una volta per tutte. Più delle prime due stagioni messe insieme. Di più ancora, se possibile, della prima stagione, che pure era libero remake del film dell’omonimo film del 1996.

La stupidità umana e la totale casualità dell’esistenza sono i motori del cinema dei Coen.

Queste due architravi compongono appunto gli episodi 2 e 3 di questa stagione, con cui è bene ricordare e sottolineare i Coen non hanno nulla a che fare, come nelle precedenti. Il creatore Noah Hawley ha realizzato due puntate diversissime tra di loro in cui inserire i temi fondanti, quasi a farne un vademecum essenziale per seguire la serie, a prescindere, dalla vicenda centrale della trama.

E’ riuscito però a raggiungere il proprio scopo?

Il 2° episodio è piuttosto classico, un’ora in cui vediamo il terremoto delle conseguenza della premiere. Come detto, praticamente ogni personaggio commettere errori, per stupidità o per rabbia, confermando l’assunto iniziale. E oltretutto, fa un po’ strano notare come la pompatissima presenza di Ewan McGregor, qui addirittura in un doppio ruolo, sia finora l’anello debole di un grande cast, anzi, paradossalmente all’attore scozzese riesce meglio la recitazione normale che non quella più “vistosa” quando è chiamato ad immergersi sotto trucco e parrucco.

Il 3° episodio è assolutamente una novità per la serie, non solo perché ci allontaniamo dall’atmosfera e dal look del freddo Minnesota, ma soprattutto perché è talmente incentrato su un solo personaggio. In questo caso Carrie Coon, e questo è già un bene e già un punto in più per la puntata. Puntata che è piuttosto bizzarra anche per il tono, per le scelte visive, e per la totale estraneità dalla trama: racconta una storia quasi a sé stante, e che si rivela fin da subito addirittura inutile per precisa ammissione, in un certo senso. Detto ciò, anche se non aiuterà a disincagliare il caso per cui l’agente Gloria Burgle è volata a Los Angeles, ci aiuta appunto a mostrare ancora di più l’ineluttabile e disperata casualità della vita, un gioco di coincidenze e caos in cui non c’è un senso.

Rimarrà soddisfatto da tale approccio chi conosce e ama questi stessi spunti di riflessione nel cinema dei Coen?

Il terzo episodio in particolare possiede una bellezza innata, una tristezza così forte a cui è impossibile rimanere indifferenti. Ma al tempo stesso è anche molto fine a sé stesso, e ci conferma i limiti della serie di Hawley: una costante ripetitività di temi, situazioni, meccanismi e conseguenze, e un costante indulgere nella forma estetica per essere il più “cool” possibile.

In queste puntate sono venuti in mente Non E’ un Paese per Vecchi, Barton Fink, L’Uomo che Non C’era, ma ad una serie arrivata alla terza stagione manca ancora la sostanza che ha reso grande il cinema dei Coen.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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