C’è una serie televisiva che più di tutte suscita dibattiti sul mondo che ci circonda.
Gli episodi di Black Mirror hanno fatto breccia negli spettatori e la serie tv britannica è diventata un vero e proprio cult. Alcuni di questi sono rilevanti anche per i messaggi che lanciano.
“Fifteen Million Merits”, secondo episodio della prima stagione, è tra i più emblematici della serie per il tema che affronta.
La vicenda di Bing (il protagonista) parla di come i media e i dispositivi tecnologici influenzano la vita sociale. Già il titolo è un riferimento ai quindici minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol; la sua visione oggi è realtà e l’episodio ne esaspera il lato più subdolo, con poche persone che beneficiano dell’arrivismo collettivo.
La riflessione è da ricercare in un preciso momento. Durante il discorso davanti ai giudici, Bing dice “i have a dream”, citazione della celebre frase di Martin Luther King. Il rimando è di tipo concettuale: così come Martin Luther King aveva combattuto per i diritti dei neri, allo stesso modo Bing si ribella alla schiavitù di un sistema virtuale che lo tiene prigioniero.
Chi pedala nella sala cyclette è lobotomizzato dall’attività ripetitiva di un posto impersonale. Non è l’intera società a essere governata secondo queste regole, ma un gruppo di pochi individui, vestiti allo stesso modo, destinati a pedalare per soddisfare i capricci di alcuni privilegiati. Non mancano poi alcuni rimandi al mondo della televisione, con la trasmissione Hot Shot che ricalca i moderni talent show.
“White Christmas” è invece un episodio speciale a cavallo tra la prima e la seconda stagione.
Nella storia dispositivo e utente si congiungono tramite un “cookie”. ed il risultato è un ibrido che spalanca prospettive ai limiti dei nostri sogni. Il cookie è una copia fedele della persona in grado di apprendere i suoi comportamenti ed atteggiamenti, e potenzialmente di sopravvivergli alla morte. Qualcosa di simile accade anche in San Junipero, quarto episodio della terza stagione.
Anche qui non mancano i riferimenti alla realtà. Presso la Code Conference del 2016, Elon Musk ha dichiarato che noi uomini, per sopravvivere all’intelligenza artificiale, ne dovremo avere uno strato in simbiosi con il cervello. Il risultato è una sorta di interfaccia corticale che opera direttamente con i neuroni, e che un giorno può diventare realtà.
Non solo. In un certo senso, noi esseri umani siamo già cyborg. Tramite le nostre mail, i social media e quello che facciamo online, generiamo una parziale versione digitale di noi stessi. Col nostro smartphone possiamo fare qualsiasi domanda, conversare con chiunque, mandare messaggi a milioni di persone istantaneamente. L’unico vincolo che oggi ci resta, dice Munsk, sono le modalità di input-output, molto più lente con l’uso degli arti.
Per questo Munsk ipotizza una creatura ibrida, così come lo sono i protagonisti di White Christmas. Proprio il dispositivo “zed eye” consente di fare foto e di manipolare l’ambiente senza avere un dispositivo tra le mani. Sembra quasi che il compromesso per non farsi sottomettere dai dispositivi sia diventare noi stessi dei dispositivi, o permettere che entrino dentro di noi. Il creatore si fonde col creato. Accade spesso negli episodi di Black Mirror.
“Nosedive”, primo episodio della terza stagione, invece ricorda la pervasività tecnologica di oggi, a partire dai social media.
I protagonisti vivono collegati e la società si basa sul continuo scambio d’informazioni. Tutto è organizzato in uno schema piramidale con al vertice chi riesce meglio a padroneggiare e manipolare le sue informazioni, in basso le vittime del sistema, completamente escluse. I clochard sono quelli che producono contenuti giudicati di basso livello o che non ne producono. Nullatenenti informazionali.
La gente vuole avere un punteggio alto per accrescere il proprio status sociale. Gli individui vengono classificati come se fossero ristoranti od hotel su Tripadvisor, oggetti da comprare su Amazon, servizi proposti da qualche catalogo. Fa tutto parte di una vasta community, in cui nessuno è libero di dire quello che pensa davvero per paura di ritorsioni sulla propria reputazione.
A regolare tutto questo è lo smartphone, che media il rapporto con il mondo circostante, anche grazie all’ausilio di un’interfaccia oculare. Rispetto ad altri episodi di Black Mirror, in questo caso il richiamo è all’uso che facciamo dei social media, ormai delle piattaforme su cui riversiamo ogni aspetto della nostra vita.

Infine “Hated In The Nation”, sesto e ultimo episodio della terza stagione, che affronta il tema dell’odio online e delle sue possibili conseguenze.
L’anonimato del web protegge dalle responsabilità. Ne risulta un territorio franco dove chi lancia messaggi di intolleranza, od usa toni incivili, è facilitato da un’incompletezza legislativa che solo recentemente prova a prendere provvedimenti.
Ormai l’odio virtuale raggiunge proporzioni di massa. Un esempio su tutti; la cosiddetta “shitstorm” (tempesta di sterco), ossia un gruppo numeroso di persone che si organizza per coprire di commenti offensivi e denigratori un soggetto online, bersagliato per qualche motivo specifico.
Nella storia si arriva addirittura ad augurare la morte con un hashtag, venendo per questo puniti: potremmo chiamarlo “karma tecnologico”. In questa prospettiva si spiegano il manifesto e le azioni dell’antagonista Scholes: un giustiziere che punisce la cattiva condotta sul web.
Le vicende di Hated In The Nation offrono inoltre , per l’uso di informazioni personali a scopi eversivi, tutte le complicazioni insite nella gestione e manipolazione dei cosiddetti Big Data. Si tratta di dati che trovano applicazione in molti settori strategici. Vengono raccolti, trattati tramite algoritmi, elaborati in modelli predittivi e valorizzati in informazioni.
Questo modo di gestire le informazioni personali può influenzare anche le sorti del mondo. Ne sono un esempio le fake news sul web e le presunte influenze esterne durante il referendum sulla brexit e le elezioni negli USA del 2016.
Gli episodi di “Black Mirror” analizzati dimostrano che la serie anticipa alcune tematiche e le porta alla coscienza del pubblico.
Si può rompere questa spirale? Ne parla Sacha Baron Cohen, attore, comico, doppiatore, sceneggiatore, produttore cinematografico e televisivo britannico. In un discorso all’Anti Defamation League, Cohen bersaglia i social media e i colossi del web, che a suo avviso stanno contribuendo alla distruzione della democrazia. Bisogna avere più consapevolezza e responsabilità, oltre a rivedere il nostro approccio alla tecnologia e il rapporto con il progresso.
Black Mirror è proprio questo: un’iperbole del mediatico, la visione di un futuro non troppo distopico. Sta a noi procedere nella giusta direzione o in quella meno rischiosa. Il motto da seguire: non l’uomo per la tecnologia, ma la tecnologia per l’uomo. Andare avanti cercando di capire il percorso.
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