Un padre difficile: il Latino
L’italiano, lingua nostra, è per noi uno straniero: lo usiamo tutti i giorni, storpiandolo alle volte clamorosamente, e quello- se avesse forma umana sarebbe un signore sui quaranta, con i primi capelli bianchi e poche rughe d’espressione attorno agli occhi- ci guarda disincantato.
Iniziamo dalle origini, come in ogni biografia che si rispetti: nasce dal latino. O meglio: nasce dalla morte del latino. Voglio dire, come una vera e propria fenice. Successe infatti che, dopo la caduta dell’impero romano, non rimaneva più nessuno che lo imponesse dall’alto e, con l’arrivo dei barbari, le loro lingue si mescolarono inevitabilmente a quelle locali.
Ne derivò una lingua ibrida, non definita, che diventava ogni giorno sempre più diversa da quella che era stata, passando da bocca in bocca.
Per tutto il Medioevo la chiesa custodì gelosamente un latino ormai solo scritto, nei documenti, nei trattati: ma non c’era più niente da fare. Ormai il latino era solo per pochi eletti rilegato all’ambito scritto mentre la vivacità del parlato era ben altrove.
La lotta per l’autonomia
Questa lingua nuova ancora senza nome, affiora- sempre nel Medioevo- in varie pratiche documentarie spicciole, atti notarili di gente ignota, in graffiti e mosaici. Diamo una data di compleanno: è il 960 e il giudice Arechisi, un giudice campano, redige la sentenza di un processo di interesse territoriale usando il latino, com’era usanza, e il volgare campano. E’ la prima volta in cui abbiamo la certezza che l’italiano sia usato come lingua autonoma, ben separato dal latino. Il nostro bambino è ormai nato.
Adesso che è nato, serve qualcuno che, in questo bambinetto ci creda. Dante ci crede, ci crede come un folle, quando tutto il resto degli autori continua ad usare il latino. Dante, al volgare, dedica una vita e alla fine scrive la Commedia. Un successo clamoroso che sembra dire: questo è quello che la nuova lingua può fare, signori miei!
L’italiano-fiorentino
Devono passare due secoli dopo l’entusiasmo di Dante, prima che l’italiano conquisti il cuore dei nostri.
Succede grazie ad un’opera particolare: Le prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Ve la faccio breve. Bembo aveva capito l’esigenza pratica degli scrittori: pur ammettendo infatti di voler usare il volgare invece del latino, quale volgare d’ Italia andava usato? Come se, oggi, vivessimo in una realtà di soli dialetti. Quale di questi è bello abbastanza da essere usato come lingua? La risposta che diede la immaginate: il dialetto di Dante e degli altri due grandi che scrissero con lui, Petrarca e Boccaccio. Che si imitino loro, quando si vuol parlare l’italiano.
Che si parli il fiorentino quando si vuol parlare l’italiano!
La soluzione di Manzoni
Il problema, lo capirà subito il lettore attento, è che in Italia non si era tutti fiorentini. Il fiorentino doveva quindi uscire dai suoi confini naturali, combattere contro tutte le altre parlate ed imporsi.
Ci provò l’Accademia della Crusca che a partire dal Seicento iniziò a sfornare un vocabolario dietro l’altro suggerendo le parole che erano state dei trecentisti (Petrarca, Dante, Boccaccio), ci provò Manzoni, nell’Ottocento. Non a caso, l’autore riscrisse la sua opera per tre volte, nel tentativo di trovare una lingua che gli sembrasse giusta, che potesse essere parlata da tutti. La situazione, nel mentre, si era aggravata: ormai neanche più i fiorentini, a distanza di cinque secoli, parlavano la lingua di Dante e Manzoni lo capiva bene. I Promessi Sposi che leggiamo oggi, l’edizione di cui l’autore fu soddisfatto, sono scritti nella lingua che i fiorentini parlavano nell’Ottocento e non, come Bembo aveva suggerito, nel Trecento.
Tempi moderni
Nel mentre, in quello stesso secolo in cui Manzoni scriveva e dopo, l’italiano arrivava nelle scuole del nuovo regno d’Italia. Fu istituito l’obbligo scolastico perché tutti imparassero almeno a leggere e scrivere. E quello che non potè la scuola, lo fecero la televisione, la radio e i giornali del secolo dopo. L’italiano ormai arrivava sin nelle case, aveva preso la forma prima degli slogan fascisti e poi di quelli pubblicitari, era diventato l’italiano dei film di Totò, delle prime trasmissioni Rai.
Soprattutto era diventato la lingua d’Italia, senza più ostacoli.
Serena Garofalo