Biografia
Nato a Cheronea, intorno al 50 a.C., Plutarco fu uno degli intellettuali greci che collaborò di più con l’aristocrazia romana. Dopo aver studiato ad Atene, Plutarco fece molti viaggi nel Mediterraneo e più volte a Roma, dove tenne numerose lezioni.
Come si scrivevano le biografie nel mondo antico
Nel mondo antico gli indirizzi biografici si configurarono secondo due principali scuole: la prima, a stampo alessandrino, presenta un personaggio secondo determinate categorie (un medesimo episodio può essere ripetuto in più di una categoria); la seconda, l’impostazione di carattere peripatetico, per cui la biografia, che a volte ha un valore educativo (si parla, appunto, della filosofia di Aristotele), non dovrebbe raccontare tutto del personaggio, ma cogliere quegli aspetti che ne rendano ἦθος, il carattere. In questo caso l’ἦθος è rilevante, per il biografo, nella misura in cui esso si manifesta nelle azioni concrete.
Plutarco e Le Vite Parallele
Vita di Alessandro e di Cesare
Plutarco tende a questo secondo tipo di biografia, come dice nella Vita di Alessandro:
[1,1]: «Nell’accingermi a scrivere in questo libro la vita del re Alessandro e di Cesare, dal quale Pompeo fu annientato, a causa della quantità dei fatti da narrare non permetterò altro se non riferisco ogni cosa, né uno per uno, compiutamente, ciascuno dei fatti famosi, ma riassumendo la maggior parte (degli eventi).»
[1,2]: «Non scrivo storia, infatti, ma biografie: nelle imprese più illustri non è insita, in ogni caso, una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un breve fatto, un detto o una battuta dà la dimostrazione di un carattere più di (quanto non la diano) battaglie con miriadi di morti e grandi schiaramenti e assedi di città.»
Scrivere biografie non vuol dire fare storiografia: magari un dettaglio, sebbene poco significativo, è più adatto a rappresentare un personaggio rispetto, ad esempio, ad una grande battaglia. Certi piccoli racconti ci fanno capire come si comportava un determinato personaggio. Segue la famosa metafora dei pittori:
[1,3]: «Come i pittori colgono le somiglianze del volto e dell’espressione dello sguardo attraverso le quali si svela il carattere, e si preoccupano in misura minore degli altri dettagli, così a noi sia concesso di penetrare maggiormente nei segni dell’anima e attraverso questi rappresentare la vita di ognuno, lasciando agli altri le grandi imprese e le lotte.»
L’ἦθος si recupera, quindi, da tanti piccoli dettagli.
Plutarco, però, presenta le Vite in modo parallelo: cerca una collaborazione con Roma di carattere politico e culturale per salvare il senso della cultura greca, facendo capire che, nonostante le distanze politiche e geografiche, certi valori greci passano anche a Roma. Plutarco confronta, dunque, i personaggi greci e latini, compiendo un confronto (σύγκρισις) per far capire come ciò che di valido c’è nel mondo greco deve rimanere a Roma.
Tuttavia, collaborare con Roma non vuol dire cortigianeria, ma cercare di salvare il salvabile di fronte ad una potenza, ossia Roma, che ormai domina incontrastata sul Mediterraneo. Inoltre, il rapporto tra cultura greca e potere romano era stato vissuto non solo (ovviamente!) da Polibio, ma anche da Luciano: quest’ultimo, infatti, nell’opera Sugli stipendiati, in modo critico parla della condizione umiliante di un intellettuale che, per mantenersi, deve soggiacere ad un romano potente, che lo paga come precettore, ma che spesso, però, si rivela ignorante.
Plutarco, nelle Vite Parallele, cerca di cogliere quel senso pratico che si respira a Roma, ma tenta anche di rendere interessante, agli occhi dei Romani, la vita dei personaggi greci: è per questo che solitamente la scena di morte, le “ultime parole famose” di un personaggio, si caricano di πάθος, che sarà di ispirazione sia per Shakespeare che per Alfieri.
Vita di Antonio (Cleopatra)
A volte, Plutarco decide di presentare in modo negativo alcuni personaggi: in questo caso, la scelta di Antonio è ovvia, poichè è dovuta all’influenza romana e a tutta la campagna politica di Ottaviano contro Antonio; è quindi considerato nemico per definizione dai romani, poiché tentò di portare il potere di Roma in Oriente.
Per questo motivo, Antonio viene rappresentato come un soldato rozzo e incline ai vizi; naturalmente non resiste al fascino di Cleopatra, quel “Fatale Monstrum” di cui già parlava Orazio:
Vita di Antonio [25-1,3; 26-2,3,4; 27-1,2,3,4; 29-1,2,3,4]: «Se tale era il temperamento di Antonio, gli sopravenne, come male conclusivo, l’amore per Cleopatria, che svegliò e portò al delirio molte passioni ancora latenti e sopite nel suo animo; e se qualche favilla di bene e possibilità di salvezza ancora resisteva, la estinse e distrusse completamente. Questo il modo come ne fu preso. […]
Ella si lasciò persuadere da Dellio. Giudicando in base a ciò ch’era successo prima tra lei e Cesare, e tra lei e Gneo figlio di Pompeo, grazie alla sua bellezza, sperò di ridurre facilmente Antonio ai suoi piedi. Quei due grandi personaggi l’avevano conosciuta quando era ancora una bambina, inesperta del mondo; invece ora avrebbe avvicinato Antonio nell’età in cui più sfolgora la bellezza delle donne e più acuta è la loro accortezza. […]
Essa era sdraiata sotto un baldacchino trapunto d’oro, acconciata come le Afroditi che si vedono nei quadri, e una frotta di schiavetti, somiglianti agli Amori dipinti ritti a due lati le facevano vento. […]
Gli abitanti l’accompagnarono fin dalla foce, risalendo il fiume sulle due sponde, oppure scesero dalla città per assistere al suo passaggio. Antonio, seduto sul tribunale, rimase solo nella piazza, tanta fu la folla che uscì incontro alla regina; e fra tutta quella gente corse la voce, che Afrodite veniva in tripudio a unirsi a Dioniso per il bene dell’Asia. Antonio mandò a invitarla a pranzo; ma ella gli chiese di venire lui da lei. Antonio desiderò subito dimostrarle la sua accondiscendenza e grande cordialità. […]
Il giorno dopo Antonio la intrattenne a pranzo a sua volta, e ambì di superarla in splendore ed eleganza; ma fu lasciato ben indietro e superato proprio nell’uno e nell’altra, e fu lui il primo a scherzare della miseria e rustichezza dei suoi apparati. Cleopatra notò che gli scherzi di Antonio erano molti volgari e degni veramente di un soldato; quindi adottò tosto anche lei verso di lui gli stessi modi, esprimendosi senza controlli e arditamente. A quanto dicono, la sua bellezza non era in sé e per sé del tutto incomparabile, né tale da colpire chi solo la guardava; ma la sua conversazione aveva un fascino irresistibile; e da un lato il suo aspetto, insieme alla seduzione della parola, dall’altro il carattere, che pervadeva in modo inspiegabile ogni suo atto quando s’incontrava col prossimo, costituivano un pungiglione, che si affondava nel cuore. Dolce era il suono della sua voce quando parlava; […]
Si racconta che conosceva le lingue di molti altri popoli ancora, a differenza dei re suoi predecessori, i quali non ebbero neppure la pazienza di apprendere l’egizia, e alcuni abbandonarono anche la macedone. […]
Giocava a dadi con lui, beveva con lui, cacciava con lui, assisteva ai suoi esercizi militari; di notte, quando egli si divertiva a fermarsi alle porte e finestre del popolino e sbeffeggiava quelli che stavano dentro, lo accompagnava in questi vagabondaggi inquieti, travestita da fanticella, poiché Antonio cercava di andarci camuffato. […]
Dicevano soddisfatti che Antonio metteva la maschera tragica quando trattava con i Romani e la comica quando trattava con loro. […]
Cleopatra s’accorse subito dell’inganno ma finse di meravigliarsi dell’abilità del pescatore; ne parlò agli amici e li invitò per il giorno seguente ad assistere anche loro alla pesca. Molti scesero nelle barche. Antonio calò la lenza. Allora Cleopatra comandò a uno dei suoi servi di prevenire i pescatori di Antonio, e, nuotando fino al suo amo, di infilzarvi un pesce affumicato del Ponto. Antonio credette di aver preso qualcosa e tirò su. Scoppiò una risata generale, si può immaginare, e Cleopatra disse: “Mio gran capitano, lascia a noi, pescatori di Faro e Canopo, la canna: tu sei cacciatore di città, regni e continenti”.»
Il ritratto delineato qui di Cleopatra è di una donna astuta, che si serve della sua capacità psicologica per immedesimarsi nella mentalità della “preda”: gioca infatti a dadi, si comporta come un soldataccio, nonostante sia una donna raffinata e colta.
Lorenzo Cardano