I modelli di eroine portati in scena da Euripide hanno catturato l’attenzione del pubblico dal primo momento in cui sono apparsi. Dal nostro punto di vista, risulta facile apprezzare la complessità di tali figure e simpatizzare per loro.
Al contrario, per un ateniese contemporaneo ad Euripide, queste ultime sarebbero apparse come “cattivo esempio” da seguire; era difficile che il loro atteggiamento trasgressivo e anticonformista fosse ben visto all’epoca [1].
Inoltre, è importante sottolineare come queste eroine non solo siano rimaste impresse nell’immaginario collettivo, ma abbiano anche influenzato scrittori e pensatori di ogni tempo: primo fra tutti, il famoso Virgilio, poeta latino autore dell’Eneide.
Medea
Se si parla del teatro di Euripide, non si può non pensare, automaticamente, alla figura di Medea. Si tratta, probabilmente, di una delle figure più famose del mito greco.
Barbara, maga e pure donna: per i greci Medea – oserei dire – non era poi così tanto diversa delle streghe che abitavano le fantasticherie degli uomini del Medioevo. Era vista come un mostro, perché raro esempio di donna intellettualmente indipendente (ricordiamo che possiede la scienza della magia).
In un passo della Medea (vv. 294-304) Euripide introduce, con impressionante anacronismo, una riflessione sul ruolo dell’intellettuale nella società greca:
Infatti prestando agli ignoranti nuovi oggetti di sapere, tu non apparirai sapiente ma inutile, e d’altra parte, se sarai considerato superiore a coloro che sembrano conoscere molte cose, diventerai sgradito alla città. Perché io sono sapiente, questa è la mia sorte: alcuni mi odiano, ad altri appaio ostile.
L’intellettuale – qui rivestito da Medea – ha il compito di denunciare le false opinioni e i falsi valori. La sua attività si configura «sia come critica di un immobile sistema di convenzioni, sia come proposizione di nuove idee e strutture di vita» [2]. Tale figura si delinea quando egli – o ella in questo caso – non confida più in una solidarietà del corpo sociale.
Medea aveva dato tutto per aiutare Giasone, l’eroe di cui lei si era innamorata, a raggiungere il suo obiettivo: conquistare il vello d’oro. Ora si ritrova con lui a Corinto, sposa del suo amato e con i suoi figli.
Ma, proprio in questa circostanza in cui sembra che Medea abbia raggiunto la massima felicità, la maga viene a sapere una notizia tremenda: Giasone vuole sposare Glauce, figlia del re Creonte.
Le crolla il mondo addosso: sa benissimo che, oltre ad essere ripudiata, sarà pure costretta all’esilio. Nera dalla rabbia, Medea medita la sua vendetta silenziosamente. Il suo è un gioco di maschere: finge di esserse d’accordo con la decisione del marito, promettendo che non ostacolerà i suoi progetti.
Come dice il proverbio, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: simulando il desiderio di rendere omaggio alla futura sposa del marito, le manda i suoi figli a portare dei “doni”. Peccato che questi regali siano imbevuti di filtri mortali, elemento tipico del “sapere magico”, che caratterizzava anche figure del mito come Deianira e Circe (zia di Medea), come si può vedere [3]:
[…] a partire dall’età ellenistica e poi ancora nell’Europa rinascimentale e barocca il nome di Circe valesse d’antonomasia per potentissima maga e diabolica strega preparatrice di potentissimi filtri (phármaka), piuttosto che una prostituta maliarda
Poco dopo un servo di Creonte si precipita a riferire l’accaduto: appena la ragazza ha indossato la veste è morta tra mille dolori; anche il padre, giunto per soccorrerla, ha fatto la medesima fine.
Infine, Medea non vuole uccidere Giasone, ma che lui soffra per il resto della sua vita: per ferirlo per sempre, la maga uccide i due bambini avuti da lui e fugge su un carro alato.
La grandezza di questo personaggio, capace addirittura di venir meno alla sua stessa natura di madre, non passò inosservata. Già Aristotele scriveva nella Poetica (1453 b 26 ss) [4]:
Un caso è che l’azione si svolga nel modo tenuto dagli antichi poeti, che portavano sulla scena personaggi informati e consapevoli, come ha fatto anche Euripide per Medea che uccide i proprio figli. Un altro caso è commettere il misfatto, ma commetterlo ignorando il rapporto affettivo, e venirlo a conoscere soltanto dopo, come è l’Edipo di Sofocle.
Bisogna sottolineare che la sua lucidità non è costante ed uniforme per tutta la vicenda. Nella parte iniziale la maga appare in preda ad una passionalità e ad un odio violenti verso Giasone; già dalle prime battute augura la morte ai propri figli (vv. 111-114).
Riflette sulla vita della donna (vv. 230 e sgg.), sulla condizione dello straniero (vv. 222 e sgg.) e sulla sorte degli uomini saggi (vv. 296 e sgg.). In aggiunta, al momento di confrontarsi con Creonte e Giasone è «capace di argomentare, di rispondere con raziocinio» [4].
Didone
Il 4° libro dell’Eneide è incentrato sulla storia d’amore tormentata e passionale tra Didone ed Enea. Importante è la scena della notte insonne di Didone – analoga al modello di Medea in Apollonio Rodio – perché vinta dalla passione per il giovane troiano. Tale eroina dirige da sola, in quanto vedova, la città di Cartagine [5]:
La fondatrice di Cartagine, è definita, come già ricordato, virago in un commento di Servio (IV sec. d.C. circa) all’Eneide, ovvero colei che agisce come un uomo e anche Boccaccio, nel suo De mulieribus claris, lodando Didone ricorda come questo nome in fenicio fosse equivalente al latino virago. L’epiteto, oggi considerato temibile e in un certo senso spregiativo, ha nell’intenzione del commentatore Servio un’accezione chiaramente positiva. Questi infatti vuole esaltare la sovrana come scaltra eroina in fuga, fondatrice di città, colei che dà leggi e governa il suo popolo (che sarà poi quello cartaginese): tutte qualità e attività tipiche dell’uomo-eroe.
Questa sua condotta si era sempre rivelata prudente prima dell’arrivo di Enea. Successivamente, l’eroe troiano, raccontando le sue imprese e la sua nobile stirpe, trasforma in amore l’ammirazione di Didone.
Ma in lei è presente un senso di colpa per il ricordo del marito morto e al giuramento di fedeltà nei suoi confronti. Per questo si confida con la sorella Anna, alla quale promette che non sarebbe mai venuta meno al giuramento.
Le sue parole, però, sono interrotte dal pianto. La sorella invece le consiglia di non sentirsi in colpa perché un matrimonio tra lei ed Enea avrebbe assicurato un’alleanza tra i Troiani e i Cartaginesi. Didone si lascia convincere, lasciando interrotte le opere del regno, frequenta i templi, consulta indovini e compie sacrifici agli dei, cercando di stare sempre più con Enea e udirlo parlare.
Di solito, quando vengono narrate le vincende della regina di Cartagine, si tende a omettere i dettagli più “piccanti” del loro rapporto insieme. Per tale motivo lascio, per chi fosse interessato, un video realizzato da Archeoporn, un gruppo di divulgatori dal titolo volutamente provocatorio, che cerca di trasmettere sia su Facebook, sia su Instagram che su Youtube l’erotismo e la nudità come espressione artistica del mondo antico. Per lasciarvi le loro stesse parole:
Mai stati volgari e nemmeno raffinati ad ogni costo. Siamo stati fedeli il più possibile a quanto davvero era, a quanto è leggibile e restituibile, come ogni archeologo dovrebbe essere. Aggiungendo interpretazione e altri sensi, come chi racconta, crea, illustra, dovrebbe fare. Non abbiamo ceduto all’esplicito perché senza il non detto e il non mostrato, senza nulla da completare con l’immaginazione, allora è pornografia.
Se volete, vi lascio il link del video sull’amore tra Adriano e Antinoo.
Fedra
Un altro personaggio femminile fuori dal comune è Fedra, una figura centrale dell’Ippolito di Euripide.
Ippolito è un bel giovane, di poche parole e molto scontroso. Fedele e credente di Artemide, dea della caccia. Ippolito non ha intenzione di occuparsi del culto di Afrodite, perché ha intenzione di rimanere puro dal punto di vista sessuale.
Ovviamente, come sempre quando si parla degli dei in Euripide, bisogna tener conto che essi hanno un valore più simbolico che tradizionale: rappresentano aspetti dell’interiorità dell’uomo (nel caso di Afrodite, la scoperta della sessualità che Ippolito rifiuta).
Afrodite si offende e farà pagare ad Ippolito questo suo rifiuto: la dea fa in modo che Fedra, la matrigna, si innamori del giovane. La donna cerca di nascondere i suoi sentimenti, ma finisce per impazzire d’amore. Finisce per confessare alla nutrice la sua passione incontrollabile; quest’ultima – secondo una versione del mito che non è propria di Euripide – consiglia di scrivere una lettera per rivelare ad Ippolito l’amore. Vi lascio qui il link per leggerla.
Euripide, invece, riporta una versione diversa: è la nutrice che rivela tutto ad Ippolito, che reagisce con sdegno. Fedra, vedendosi perduta, si uccide, ma lascia uno scritto in cui falsamente denuncia Ippolito di averla violentata.
Conclusione
Al di là delle differenze tra i vari testi, le figure femminili presentante sono un esempio di agency, ovvero della capacità – soprattutto da parte di una donna nel mondo antico – di affermare le proprie idee e attuare le proprie scelte, nonostante i mille paletti che la società patriarcale imponeva loro.
Note
[1] Anastasia Bakogianni, Euripides’ Iphigenia: Ancient Victim, Modern Greek Heroine?, 2019, p.1
[2] Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, 2020, p.313-316
[3] Cristiana Franco, Circe. Variazioni sul mito, Grandi Classici. Tascabili Marsilio, 2012, p.11-12
[4] Bernardo Baldini, ΜΗΔΕΙΑ e Medea: L’ira di una donna tra Euripide e Seneca, p.2-3
[5] Francesca Ceci e Annarita Martini, Fondare città, maledire città: la vicenda di Didone nell’immaginario collettivo antico e moderno tra fonti letterarie e testimonianze numismatiche, p.3-4
Esaustivo, appassionante. Elegante e ben scritto!
Grazie mille! Sono contento che sia stata una piacevole lettura!
Che onore essere citati in un articolo così ben fatto! Grazie.
L’onore è mio nel ricevere questo commento! Buona giornata!