Il talento di Silvia Siravo seduce il grande teatro e il cinema. La signora delle camelie ha incantato infatti gli spettatori del Teatro Quirino.
Silvia è stata protagonista con Marianella Bargilli e Ruben Rigillo dell’opera, in programma dal 27 febbraio all’11 marzo scorso. Il grande classico di Alexandre Dumas figlio emoziona sempre con il suo verismo di denuncia e di rassegnazione verso l’ineluttabilità dei dei sentimenti imprigionati nelle convenzioni sociali.
La regia è di Matteo Tarasco e lo spettacolo, che ha una durata di 1 ora e 30 minuti in un atto unico, ha acquistato piacevolezza rispetto alla versione originale; splendidi i costumi dell’Accademia Costume&Moda di Roma – 1964.
Il romanzo di Dumas Fils, capolavoro della letteratura francese dell’Ottocento, è un viaggio nel profondo dell’animo umano, che restituisce un’immagine del mondo vividamente controversa; un’opera fortemente lirica che enfatizza il fascino della parola poetica attraverso la narrazione teatrale.
Abbiamo incontrato Silvia Siravo nella veste della indomita dell’attrice che si rivela una delle presenze più interessanti nel panorama teatrale e anche cinematografico. L’attrice è impegnata infatti contemporaneamente al Quirino e nel film Finché giudice non ci separi dove interpreta Elisabetta, la moglie tradita e abbandonata da Simone Montedoro.
Silvia si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica S. D’Amico nel 2005; è figlia di Edoardo Siravo e Anna Teresa Rossini dai quali ha ereditato il grande talento per la recitazione.
Silvia, sei un’attrice con una formazione solida, un talento puro e una genetica favorevole. Mi hai colpito per la tua interpretazione di Prudence, un personaggio complesso, forse la chiave di lettura della storia. Rappresenta quasi la voce narrante all’interno della trama, la verità amara della vita suggerita da una donna libera dall’impegno formale di recitare un ruolo sociale. Un approccio empatico forte con la giovane bohemienne, mi sembra…
Sì, Prudance dice delle verità amare con la libertà di un fool malinconico alla deriva. È una mantenuta come Margherita ma non vede possibilità di redenzione, non sa più sognare ma solo alterarsi con droghe e alcol. È rassegnata a vivere con allegria forzata in una “chiassosa solitudine”. Mentre l’amore soffoca tra debiti, ipocrisie e incomprensioni lei conta i soldi (il termine più ricorrente nel romanzo di Dumas è franchi) e manipola per sopravvivere ma riesce ancora a provare compassione. Voglio bene a questo personaggio come ad un animaletto ferito, come ad una donna in gabbia.
Tarasco, il regista dell’opera, è riuscito a compiere una grande opera di sintesi preservando, anzi evidenziando il cuore stesso della narrazione. Il dramma borghese di metà ottocento viene depurato e ricostituito attraverso i modelli contemporanei, più condensati e incisivi. Cosa pensi di questa operazione audace e innovativa?
Credo sia necessaria. Oggi siamo abituati ad una fruizione dell’arte più veloce, sarebbe poco efficace non considerarlo. Matteo Tarasco è riuscito senza snaturare l’opera a modularla in scena in una tempistica più dinamica e a raccontarne il cuore per arrivare a quello degli spettatori.
Ho apprezzato il radicalismo nel tratteggiare i personaggi, persino nell’abbigliamento. Un romantico abito ottocentesco per Margherita e una mise che strizza l’occhio a Nina Hagen per la tua Prudence con la sua gonna in tessuto scuba. Bellissimo.
È una scelta coraggiosa ma non forzata. Margherita si riveste di purezza con l’abito bianco di mussola e Armando la corteggia vestendola di dignità, il mio personaggio invece resta in un’epoca decadente di latex. Tessuti che raccontano vissuti.
In questo momento sei impegnata in teatro e sul set cinematografico, una fatica che pochi professionisti possono sostenere. Credi che il cinema possa modificare positivamente e attualizzare i modelli di recitazione del teatro più purista? E, viceversa, che il teatro possa apportare un’incisività maggiore nell’interpretazione dei ruoli cinematografici.
Credo che non si debba vedere questo mestiere a compartimenti stagni, come invece succede spesso in Italia più che in altri paesi. L’approccio al teatro e al cinema per un attore sono diversi, ma un buon allenamento in entrambi i cambi può solo essere solo un valore aggiunto.
Esistono ancora grandi sceneggiatori in un momento storico abbastanza prosaico per la letteratura?
Sì esistono ancora, mentre esistono meno gli spazi dove possono coltivare la loro creatività. Forse bisognerebbe tornare a collaborare di più, unire le forze, scambiare le idee e non chiudersi in un isolamento arido.
Ricordo quel tragico momento quando, nella veste di una giovane Polissena, hai raccolto le ultime parole di Ileana Ghione – Ecuba mentre si accasciava sul palco. Un episodio denso di misticismo, nel grande dolore.
Ileana, mentre vedeva Ilio bruciare ha salutato il suo regno di velluto rosso, il sipario si è chiuso su una vita dedicata al teatro. Sono legata a quel teatro ho debuttato lì a 8 anni e ci sono tornata ultimamente a recitare con grande piacere.
Silvia, è da finale classico chiederti del tuo futuro e dei tuoi progetti. Noi intanto ti seguiamo con grande entusiasmo in questi impegni presenti che confermano la tua ecletticità, la tua classe e la raffinata cultura. Grazie ancora.
Sto partecipando a le Le parole degli eroi, progetto cross mediale che si articola in ambito teatrale documentaristico a cura di Massimo Reale. Il prossimo appuntamento sarà nelle Marche a Giugno, dove sarò in scena con Luca Zingaretti e Massimo Reale. Nella prossima stagione riprenderò La Signora delle camelie e La cena delle belve di Vahè Katchà con la regia di Julien Sibre e Virginia Acqua. Ringrazio io voi con affetto…
Antonella Rizzo
[Foto in copertina di Matteo Nardone]