A tu per tu con Nicola Piatta dell’Abbondio Giana, l’artista della provocazione

illustratori italiani
Per gentile concessione di Nicola Giana. "Signorina Ferragosto", Nicola Piatta dell'Abbondio Giana. Copyright © Nicola Giana 2018. Tutti i diritti sono riservati.

All’indomani dell’ennesima provocazione al Sotheby’s e alla conseguente consapevolezza di essere “banksyzzati” come ha detto Alex Branczik, il Senior Director and Head of Contemporary Art, Europe di Londra ci ritroviamo a parlare di arte contemporanea in Italia.

La provocazione tradotta in arte in Italia, più precisamente.

Nicola Piatta dell’Abbondio Giana è un artista capace di reinterpretare su tela la bruciante contemporaneità.

La sua formazione è tra le più “policrome”. Nella sua valigia, di provocazione  e ricordi, l’ispirazione dai grandi del passato come Luis Buñuel e D.A.F. De Sade.

Il Nord Italia lo ha accolto ed ospitato a più latitudini. Adesso si trova a realizzare i suoi processi creativi a Milano.

Milano fulcro dell’arte e snodo di avanguardia.

  • L’arte è il racconto personale della percezione che si ha del mondo. Qual è la tua percezione del mondo?

La mia percezione del mondo è che tutto non sia reale, come se tutto fosse una maschera, una facciata che nasconde dietro di sé qualcosa di non noto che io, secondo la mia fantasia e conoscenza di dati certi a riguardo, cerco di rendere concreto ai miei occhi e agli occhi di chi sta guardando le mie opere. In questo mondo manca la conoscenza della vera essenza delle cose. Ci sono troppe infrastrutture. Io con la mia arte cerco sempre di andare all’origine delle cose distruggendo le infrastrutture che ne danneggiano la reale essenza. Cerco di vedere il mondo dietro il mondo che l’uomo costruisce, perciò per me esistono due percezioni: quella legata al mondo reale, nascosto al nostro sguardo (che è quella a cui faccio affidamento io),  e quella legata invece al mondo finto costruito sopra il mondo reale. Questo è anche il modo in cui l’arte si divide.

  • Un illustratore racconta con il proprio punto di vista, utilizzando canoni di linguaggio sempre differenti, ciò che lo circonda. Quanto è doloroso, terapeutico, necessario elaborare la profondità concettuale della denuncia?

Personalmente non ritengo né doloroso né terapeutico il percorso che mi porta a elaborare la miriade di messaggi che inserisco nelle mie opere, nelle mie performance. Non trovo nemmeno terapeutico il partorire un’opera di denuncia, non lo faccio per stare bene con me stesso, per sentirmi a posto. Io sono fuori posto. Io partorisco senza sforzo. Immaginate una divinità che mi abbia condannato a partorire senza sforzo, praticamente l’esatto contrario di ciò che è stato riservato a Eva. La mia storia non è stata scritta dagli uomini, perciò il parto, nella mia dimensione, non è sforzo.

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  • Le tue opere sono dei messaggi schermati di provocazione: un urlo per denunciare il bisogno di rendere pubblica e fruibile “l’arte contemporanea” come strumento di riflessione?

Sono consapevole del fatto che se le mie opere non generassero disturbo, scandalo e repulsione il mio compito sarebbe finito. E potrei dunque iniziare a creare per comunicare altrove, a un’altra civiltà, ad altri essere senzienti. Non mi sforzo per niente di creare qualcosa che serva come denuncia di una particolare situazione, io mi limito a riprodurre ciò che la mia mente percepisce come più oscuro, nascosto, vile e violento. Il mio è un urlo non gridato.

  • Qual è il senso primordiale delle tue opere?

La vera essenza della più pura filantropia, l’amore senza pregiudizi, il bene incondizionato, l’istinto materno di sopravvivenza. Queste sono le radici su cui è fondata ogni mia opera.

  • Il tuo percorso artistico da cosa è stato influenzato?

Da quando sono piccolo cerco, come un “archeologo dei reali sentimenti”, di intercettare e fare emergere tutto ciò che sta al di sotto della terra che ci mettono addosso fin dai primi anni di vita con la quale finiamo per ricoprirci dall’adolescenza fino alla fine della nostra esistenza. Sicuramente i miei studi al DAMS di Bologna hanno influito moltissimo sul mio percorso artistico. Il senso di libertà provato in quella città, la mia autonomia personale, il costante approccio con le diversità hanno nutrito la mia mente e la mia anima.

  • L’arte riuscirà a redimere le coscienze sporche?

Le coscienze sporche difficilmente si puliscono, ma quelle appena nate si possono nutrire di bellezza. Io creo affinché il mio messaggio insegni alla mente acerba più che a quella sporca. Esistono molte coscienze che vogliono rimanere sporche e che vivono con la melma e sono felici di ciò; purtroppo per queste non c’è niente da fare. L’arte è amica delle coscienze limpide, che vogliono rimanere pulite, l’unica cosa che l’arte può fare è mantenere vive queste coscienze affinché sopravvivano alle pestilenze e traccino il solco per le generazioni future.

Alessia Aleo

Alessia Aleo
Giornalista pubblicista, una grande passione per la moda. Sempre in viaggio e alla scoperta di nuove prospettive.

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