Forse è la magia del Natale, quella per cui si deve diventare tutti un po’ più buoni.
Non so se questa cosa ha avuto effetto anche su di me, ma credevo di dover odiare Wonder e non solo non è accaduto, ma anzi posso dire che Wonder è film ideale da vedere a Natale, il consiglio migliore per una famiglia che vuol vedere, tutta insieme, qualcosa in sala.
Più che annegare in una melensa dose di zucchero, Wonder riesce a nuotare benissimo tra i sentimenti. Riesce a farsi strada tra ciò che vuol comunicare con sincerità e genuina volontà. Sicuramente è un film a tema, certamente è un film pedagogico, ma crede pienamente al 100% a ciò che comunica. Un inno alla tolleranza, un messaggio contro il bullismo, un consiglio all’essere gentile perché poi il mondo lo è con noi. In questo Wonder non è ingenuo, perché dribbla la manipolazione dei sentimenti aderendo perfettamente al suo compito. Buono, buonissimo, ma non buonista, Wonder è un film chiaramente indirizzato ai più piccoli ma con riflessi fondamentali in ogni fascia d’età.
Il successo del film infatti non è legato alla magia del Natale, ma al talento del regista Stephen Chbosky.
Scrittore, prima che regista e sceneggiatore, Chbosky sembra essersi specializzato nel prendere storie sulla carta molto patetiche per trasformarle in racconti sulla ricerca dell’identità e sull’importanza della sensibilità umana. Wonder è sicuramente meno raffinato del precedente Noi Siamo Infinito, ma lo è col preciso intento di parlare a più spettatori possibili. Non cerca la metafora, ma la strada più diretta. Ha indubbiamente dei momenti di troppo – la sequenza del cane non aggiunge alcunché, e far apparire i genitori del giovanissimo bullo così caricaturali è molto forzato – ma non deraglia verso il sentimentalismo fine a sé stesso, ogni emozione è legato al filo conduttore del messaggio di accettazione.
La mossa più riuscita, in questo, è non aver reso Auggie protagonista assoluto. Sì, è il motore di tutto, ma la sua vicenda e le difficoltà dovute a mostrare il suo volto non cannibalizzano il resto. Auggie diventa così il collante emotivo, mentre il film si snoda nell’esplorazione degli altri personaggio creando una narrazione multipla che permette a tutti di immedesimarsi con qualcuno, o con qualche momento. Tra le varie storie la più interessante è certamente quella di Via, la sorella di Auggie, colei che non ha mai perso la bussola, quando i genitori hanno dovuto dedicare più attenzioni, e forse più amore, al fratellino.
Un film che obbliga a munirsi di fazzoletti all’ingresso della sala, chiaramente. Per una volta, però, non in senso negativo, perché il film si guadagna sul campo le sue lacrime. Forse, facendo una battuta, Wonder, appartiene al genere di fantascienza, poiché è irreale trovare nel mondo quotidiano personaggi così buoni. Tutti, nessuno escluso. Con i cattivi che imparano dai loro errori. Ma l’insegnamento e lo scopo di Wonder è proprio questo: dobbiamo provare ad essere più gentili, e forse ciò che stupidamente ci appare fantascienza un giorno potrà diventare realtà. Non si tratta solo di essere tutti più buoni, dopotutto. Si tratta di imparare ad essere più felici.
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Emanuele D’Aniello
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